POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI

Corso di Laurea magistrale in Storia e società

 

Analisi di alcune Comunità straniere

 

Gruppo 1

Mario Macchioni   macchionimario@gmail.com

Franco Porcù

Francesco D'Ausilio  fra.dausilio@gmail.com                                                                                 

Luca Perrone

                          

Il Gruppo 1 ha cominciato la sua indagine consultando il nuovo Dossier statistico dell'immigrazione 2015, il testo più aggiornato sull'argomento, con  dati relativi

al 2014. Il Dossier - tra gli altri - dedica capitoli approfonditi sulle comunità religiose e sulle comunità rom (sinti e caminanti). Il Gruppo ha anche cominciato a

studiare i Rapporti ministeriali sulle diverse Comunità. La ricerca ha permesso anche di trovare siti più o meno ufficiali e riconosciuti, come www.culturaromena.it,

che si occupa della promozione della cultura, letteratura e tradizioni romene.
Contestualmente il Gruppo ha pensato di realizzare piccole interviste all'interno di una squadra di calcio dilettantistico, dove sono presenti prevalentemente

senegalesi e maliani, con alcune presenze capoverdiane; i giocatori sono stati recentemente intervistati da una prestigiosa rivista sportiva d'oltralpe, France

Football, perché la Federazione non permette alla società di tesserare questi stranieri.

Altri componenti del Gruppo hanno invece impostato una ricerca sulle Comunità straniere a Roma e sulle esperienze di partecipazione nella Capitale (i cosiddetti Consiglieri aggiunti). Tra i documenti studiati, un Dossier della Caritas italiana su "Immigrati e partecipazione - Dalle consulte e dai consiglieri aggiunti al diritto

di voto", e il più recente (2014) Regolamento di Roma Capitale per l'elezione dei Consiglieri aggiunti. Tra i documenti sul tema, una intervista del portale stranierinitalia.it a Silvio Di Francia, delegato del l’ex Sindaco di Roma all’immigrazione.

Il Gruppo ha anche raccolto un recentissimo Dossier parlamentare sul tema (nazionale) della riforma della Cittadinanza ora all'attenzione del Parlamento, perché

si tratta di una questione molto sentita dalle comunità. Il disegno di legge approvato alla Camera è fermo al Senato, che è impegnato con la sessione di bilancio.

Il Dossier deil Servizio Studi del Senato spiega tutti i dettagli della riforma: chiarisce innanzitutto in che modo chi è nato o cresciuto in Italia potrà, con le nuove

regole, diventare italiano, secondo i principi dello ius soli e dello ius culturae. Spiega poi tutte le altre novità, dall’esonero dal contributo di 200 euro per i minori

alle iniziative di educazione alla cittadinanza che i comuni potranno avviare insieme alle scuole. Il Dossier dà anche una panoramica della situazione attuale e cita

dati che vedono un boom di acquisizioni di cittadinanza negli ultimi anni: da meno di 50mila nel 2011 a oltre 120mila nel 2014. Contiene infine un’analisi delle

normative di altri Paesi europei (Francia, Germania, Regno Unito e Spagna), che dimostra come la riforma potrebbe portare l’Italia all’avanguardia.

Il Gruppo ha anche trovato due interessanti Cartogrammi sulla distribuzione degli stranieri nelle province italiane. Se ne evince che la maggioranza dei migranti si è
insediata nell'area centro-nord, mentre nel meridione si distinguono solo le province di Napoli e Salerno. I motivi sono certamente economici, lo squilibrio è dovuto

a una forte attrazione degli stranieri verso le aree con un tessuto economico e industriale più valido, come quello dell'area padana e del triangolo industriale, ma anche della zona che gravita intorno alla capitale. Un quadro che rende possibile un'analisi più articolata delle Comunità straniere, dei loro esiti lavorativi e delle ragioni per cui hanno scelto queste aree piuttosto che altre.

 

LE COMUNITA' ARABE

Tra le Comunità più importanti nel nostro paese ci sono quelle arabe. La Comunità Marocchina è stata una delle prime ad arrivare in Italia ed è attualmente la

seconda per quantità, con circa 500mila presenze, e la prima per capacità imprenditoriali. Importante anche la presenza di egiziani, soprattutto in alcuni settori lavorativi, come quello della ristorazione o quello industriale; e di tunisini, soprattutto in Sicilia, dove Mazara del Vallo è diventata (in percentuale) la città più

'araba' d'Europa.

 

LA COMUNITÀ EGIZIANA


La comunità di egiziani in Italia ha radici storiche di non recente formazione. Già a partire dal 1985, a seguito di una grave crisi economica, iniziò un flusso migratorio che negli anni si è sempre più rafforzato anche per merito della volontà dei nuovi arrivati di ritagliarsi un posto nell'economia italiana. Per tutti gli anni Novanta giovani egiziani hanno continuato a stanziarsi soprattutto nel Nordovest della penisola, e oggi hanno ormai raggiunto le 103.713 unità. Si riscontra una bassa incidenza di donne (32%) dovuta soprattutto al carattere economico di gran parte dell'emigrazione egiziana: le famiglie investono sul proprio giovane figlio maschio per tentare di risollevare le loro sorti economiche spesso tragiche, anche se la quota di donne è in aumento.
I residenti egiziani hanno una buona capacità imprenditoriale (i titolari di impresa si attestano a 14.358 residenti). La maggior parte degli occupati opera nel settore terziario (57,8%), in particolare il 28,2% dei lavoratori totali è specializzato nel settore della ristorazione, a fronte di una media di 9,9% tra i non comunitari. Nonostante il dinamismo dell'attività lavorativa si attesta uno scarso associazionismo a livello istituzionale: come dichiara questo documento di cespi.it, le imprese egiziane hanno tendenze individualiste e non accedono ai servizi prestati dalle organizzazioni imprenditoriali italiane. (cfr. Mappatura delle Associazioni egiziane)

Tra le altre Comunità arabe, spicca la Tunisina (88.291 al 2013); la comunità Algerina secondo le stime del 2014 è arrivata a 22.679 unità, distribuite in controtendenza rispetto alla media, ovvero tra nord e centro-sud (soprattutto in Campania e nella provincia partenopea).

Attualmente, tranne una minoranza che pratica la religione cristiana (cattolica e ortodossa), i componenti delle Comunità arabe che vivono in Italia sono

prevalentemente musulmani. L’Islam è diventato da anni, con oltre un milione di presenze, la seconda religione in Italia dopo il Cattolicesimo.
A prescindere da presenze antiche e medievali, che hanno lasciato tracce profonde soprattutto in Sicilia, l’Islam moderno nel nostro paese, soprattutto di matrice

sunnita, è stato una realtà modesta fino alla fine degli anni cinquanta. Negli anni sessanta iniziò a delinearsi una presenza di qualche centinaio di studenti

– in particolare siriani, giordani e palestinesi - che si affiancarono ai pochi uomini d’affari e al personale delle ambasciate. Presto si organizzarono in quella che

nel 1971 sarebbe divenuta l’Unione degli Studenti Musulmani d’Italia, propagatasi nelle città universitarie a partire da Perugia, che promosse l’apertura di vari

luoghi di preghiera.
Negli anni settanta nacque a Roma il Centro Islamico Culturale d’Italia, a cui si deve il progetto, affidato all’architetto Portoghesi, di una grande Moschea, la più

grande d’Europa, inaugurata nella capitale nel 1996 e divenuta sede del Centro Culturale. Essa è il simbolo del riconoscimento ufficiale da parte dello Stato italiano

del ruolo e dell’importanza che ha attualmente l’Islam nel nostro paese. (vedi anche l'intervista a Mario Scialoja, che dirige la sezione italiana della Lega musulmana mondiale, che ha sede proprio presso il Centro culturale della grande Moschea). A questa importanza dell'Islam italiano non corrisponde un’adeguata capacità rappresentativa per via delle numerose sigle, spesso molto diverse dal punto di vista ideologico e religioso, che compongono l’universo islamico. Alcuni anni fa l'allora Ministro dell’Interno Pisanu, per tentare di ovviare a questo problema, ha costituito una Consulta, alla quale ha chiamato a partecipare – non senza suscitare le proteste degli esclusi – alcune delle figure più rappresentative dell’Islam italiano.

(cfr.Bibliografia sulle Comunità arabe)

 

LE COMUNITÀ AFRICANE IN ITALIA

Complessivamente, secondo i dati aggiornati del Dossier Statistico Idos 2015, si stima che la presenza di immigrati in Italia proveniente dal continente africano abbia raggiunto la consistente quota di 1.027.172 unità. Il panorama amplissimo e caleidoscopico che offre l'Africa, spesso all'interno anche dei singoli stati, non permette

una sintesi generale e organica viste le varie differenze.

 

LA COMUNITÀ SENEGALESE


I residenti senegalesi sono i più numerosi fra le comunità africane in Italia (94.000 unità) inferiori solo a quelli marocchini, egiziani e tunisini; ben oltre la metà dei rappresentanti di questa comunità (circa il 74%) è composta da uomini, secondo una tendenza consimile ad altre comunità come quella egiziana e ghanese. A livello lavorativo, si riscontra una ottima capacità imprenditoriale dei lavoratori senegalesi presenti in Italia visti i 16.896 che sono titolari di impresa, la cui stragrande maggioranza si occupa del settore commerciale (88,8% dei casi). I restanti sono impiegati per oltre metà (52%) nel settore dell'industria (di cui il 6% nelle costruzioni), mentre il 44% nel settore terziario (di cui il 21%, appunto, nel commerciale).
Ciò che colpisce a livello statistico è l'eccellente capacità degli appartenenti a questa comunità di associarsi: un documento illustra tutte le Associazioni senegalesi mappate dal sito integrazionemigranti.gov: se raffrontate a quelle egiziane (la cui presenza per numero di migranti in Italia supera quella senegalese) si ha un'idea di quanto i senegalesi siano portati all'associazionismo. Ancora più evidente risulta il distacco se lo rapportiamo all'associazionismo albanese, che risulta nullo dalla mappatura del suddetto sito, il che potrebbe essere ricondotto all'idiosincrasia dei paesi ex-comunisti verso il collettivismo.
Ad emblema di questo fenomeno si riporta anche la recente formazione di un'associazione di carattere nazionale, la FASI, che raccoglie ben 55 diverse associazioni

e 11 testimoni privilegiati (vedi articolo del Cospe).

 

LA COMUNITÀ GHANESE

Costituita per il 60% da uomini, in prevalenza occupati nell'industria (35%) e nel settore agricolo, soprattutto nel lavoro stagionale. A differenza di altre comunità dell'Africa orientale, non si contraddistingue per una particolare capacità imprenditoriale, ma anzi balza spesso all'onore delle cronache per motivi poco edificanti come lo sfruttamento del lavoro nella raccolta del pomodoro nel mezzogiorno. Assieme alla comunità nigeriana è una di quelle che più attesta un aumento, al 2015 risulta composta da 50.414 unità.

 

LA COMUNITÀ CAMERUNESE


I dati più recenti indicano una presenza camerunese in Italia attorno alle 12.414 unità. Questa comunità, molto giovane, si differenzia dalle precedenti non solo per la minore vastità ma anche per un equilibrio fra i generi maschili e femminili e per un livello culturale spesso sopra la media. Molti camerunesi arrivano in Italia già con il livello B2 della lingua italiana, elemento che consentirebbe un inserimento molto agevolato. Infatti in patria essi hanno la possibilità di studiare l'italiano in tre atenei pubblici e in un ateneo privato; in molte scuole del Camerun sta prendendo piede come la quarta o quinta lingua studiata (dopo quelle locali, l'inglese e il francese); i provenienti da questa zona dell'Africa centrale parlano una sorta di meltin' pot linguistico detto camfranglais, il che li rende particolamente duttili da questo punto di vista: infatti i residenti in Italia sono al primo posto per numero di studenti universitari tra gli stati africani (2327 nell'a.s. 2010/2011), e al quarto posto totale dietro a Cina, Albania e Romania. Gli immatricolati nelle università sono in crescita ogni anno, anche se molti fra questi studenti dichiarano di voler tornare in patria dopo gli studi (il 40%), soprattutto per mettere a servizio dei concittadini le nuove competenze acquisite.
A livello lavorativo questo alto livello di istruzione si traduce in un impiego altissimo (77%) nel settore terziario, in comparti come quello informatico, economico-finanziario, alberghiero.

Per motivi di tempo molte comunità comunque rilevanti di questo continente non sono state analizzate. Si citano le più importanti a livello numerico: la Nigeria, arrivata al 2014 intorno alle 71.158 unità; la Costa d'Avorio (23.563 al 2013); Burkina Faso (14.939 unità). Al 2013 si attestano le presenze in unità delle comunità di Eritrea (8.752), Etiopia (6.933), Somalia (5.235), Togo (4.566) Capo Verde (4.103). Sotto le 4000 unità si segnalano le comunità in ordine decrescente di Guinea, Repubblica del Congo, Repubblica democratica del Congo, Mali, Benin, Sudan, Kenya, Liberia.

Sull'Eritrea, particolarmente importante per ragioni storiche (il colonialismo italiano) e per il drammatico esodo degli anni più recenti, si veda anche un sintetico Focus di approfondimento preparato dal Gruppo.

Fonti

Per i dati più recenti il Dossier Statistico Immigrazione 2015 di Idos e Unar; per i dati del 2013 il format dell'Istat sull'immigrazione; per le informazioni su Egitto e Camerun Dossier Statistico Immigrazione 2010 e 2011; per informazioni aggiuntive su Egitto e Senegal, il Rapporto ministeriale di integrazione migranti.

 

LE COMUNITA' ASIATICHE

Le due Comunità asiatiche più importanti presenti in Italia sono quella cinese (266mila) e quella filippina (167mila).

Il Gruppo ha raccolto interviste interessanti con il Presidente di Associna Marco Wong - un tipico rappresentante delle seconde generazioni - e con esponenti della Comunità filippina a Roma. Si veda anche una scheda di approfondimento sulla presenza filippina in Italia.

 

LE COMUNITA' LATINO-AMERICANE IN ITALIA    

Tra le Comunità latino-americane le più importanti numericamente sono quella Peruviana e quella Ecuadoregna, con presenze importanti

in città come Torino, Milano, Genova e Roma.

Rispetto ai dati riportati qui sotto, il Gruppo di lavoro sta raccogliendo dati aggiornati. Tra gli altri si registra l'impennata dei flussi dal Perù, che si attesta ancora al primo posto dei paesi sudamericani con 119.668 unità, e degli ecuadoregni che hanno raggiunto le 91.259.

Dati aggiornati sulle altre comunità sono presenti sul sito dell'istat, che ha elaborato un format specifico sull'immigrazione (http://stra-dati.istat.it) che si riferiscono al 2013. Si riporta per esempio che i brasiliani sono aumentati fino a 39.157. In diminuzione le presenze argentine, passate dalle 13.720 del 2004 alle 8.025 del 2013.
Sono aumentate invece i flussi da altre nazioni sudamericane: 12.357 dalla Bolivia, 10.443 da El Salvador, 17.880 dalla Colombia e ben 25.405 dalla Repubblica Dominicana. Un quadro sempre in aumento, soprattutto per quanto riguarda i paesi con maggiori difficoltà economiche e sociali.

 

LA COMUNITA' PERUVIANA 

La Comunità peruviana, con i suoi 53.378 residenti, è la più numerosa tra le Comunità latinoamericane presenti in Italia. Dieci anni di guerra civile, culminati nell’84 con gravi violazioni dei diritti umani e una profonda crisi economica, hanno spinto oltre 2 milioni di persone a lasciare il proprio paese, diretti in buona parte verso il Nord America. Tra coloro che dal '90 al 2000 sono arrivati in Italia - individui tra i 20 e i 50 anni, soprattutto donne - circa l’80% avevano già alle spalle una prima esperienza migratoria interna al Paese: dalla zona rurale a quella urbana. Il dilagare della crisi li ha costretti a scelte ancora più estreme.

Il lavoro costituisce attualmente il motivo dominante della loro presenza in Italia.

Al 1 gennaio 2004 risultavano concessi 48.827 permessi di soggiorno, di cui circa il 70% per motivi di lavoro. E’ prevalente l’impiego in ambito domestico: l’alto numero di donne, all’inizio meno accreditate professionalmente e quindi più disponibili ad accettare un rapporto di lavoro non ufficiale e meno retribuito, ha posto la Comunità peruviana, insieme all’ecuadoriana e a quelle provenienti dall’est europeo, ai primi posti nella collaborazione familiare, togliendo ai filippini il loro tradizionale primato in questo settore.

Le ultime statistiche, tuttavia, registrano una lieve flessione della percentuale femminile, attualmente al 62%, e un significativo riequilibrio nel rapporto numerico tra i sessi. Alla base vi è un aumento dei ricongiungimenti familiari - 2.355 nel 2004 contro gli 866 per lavoro - per mariti e per numerosi bambini. Il tasso di incidenza dei minori nella scuola dell’obbligo è piuttosto alto, il 21,4%: una eccezione, insieme all’Ecuador, rispetto a quanto fatto registrare dalle altre Comunità latinoamericane. La crisi e la violenza delle grandi città peruviane spingono i genitori a partire con i figli al seguito, non fidandosi di lasciarli a parenti o amici in patria, a vantaggio di una maggiore coesione familiare e di un progetto migratorio più stabile.

 

LA COMUNITA’ DOMINICANA

La Comunità degli immigrati provenienti dalla Repubblica Dominicana è concentrata soprattutto – per motivi legati alle cosiddette ‘catene’ migratorie – nell’area di Arezzo. Si tratta soprattutto di donne, 10.876 su un totale di 15.286 immigrati regolari. Bassa la percentuale di minori – meno dell’1% del totale: se è vero che la presenza dei minori rappresenta uno degli indicatori più significativi di una immigrazione stabile, quella dominicana non sembra quindi manifestare un alto grado di inserimento: anche se nel 2004 risultano rilasciati ben 1.227 visti per ricongiungimento familiare, segno di una forte volontà di radicamento, e 50 per lavoro autonomo, segno di una certa capacità imprenditoriale e di una prima differenziazione di inserimento lavorativo e sociale.

 

LA COMUNITA’ SALVADOREGNA

La Comunità di El Salvador registra una popolazione regolarmente residente di 5.085 unità, con 1742 uomini e 3343 donne, con una incidenza femminile del 65,74%. E’ l’ottava comunità latinoamericana per numero di residenti.

Si concentra per l’80,9% nelle regioni nord-occidentali della penisola,  quelle in cui è

maggiore l’incidenza dei latinoamericani sul totale degli stranieri, ovvero il 13,7%. L’occupazione prevalente è il lavoro domestico, come colf o badanti: ma, come per tutti gli immigrati provenienti dall’area, si va diversificando sia nella direzione dei servizi e, meno frequentemente, delle professioni.

  

LA COMUNITA’ COLOMBIANA

  

Quarta Comunità latinoamericana per numero di residenti, con 15.843 presenze, di cui 5.006 maschi e 10.837 femmine (il 68,40%).

La Colombia è tra i paesi che si segnalano per un sensibile numero di permessi per motivi religiosi: 363 nel 2004 (terza dopo l’India e le Filippine). Poiché questi flussi riguardano in prevalenza religiosi e religiose che vengono in Italia (specialmente nell’area romana) per motivi legati alla religione cattolica, questo dato è indice dell’importanza che la chiesa ha raggiunto in America Latina, in particolare in Colombia.

Con quasi 7 milioni di euro in rimesse, la Colombia negli ultimi anni supera anche il Perù, la Comunità più numerosa,  ponendosi al secondo posto dopo l’Ecuador.

 

LA COMUNITA’ BOLIVIANA

Durante la seconda guerra mondiale la Bolivia diventò terra di emigrazione, aprendo le proprie frontiere a tutti gli ebrei che fuggivano dalla persecuzione nazista. Si pensa che le sue frontiere furono attraversate da circa 50.000 esuli, sebbene la maggior parte di loro si sia poi dispersa nei diversi Stati americani.

Attualmente la Bolivia è uno dei paesi più poveri dell'America Latina, per di più con uno  scenario politico-sociale altamente frammentato e conflittuale, tale da minare il normale esercizio delle libertà democratiche. In molti sono dunque costretti a lasciare il paese; e il loro viaggio, negli ultimi anni, si orienta sempre più verso gli stessi paesi europei dai quali in passato erano fuggiti coloro che proprio in Bolivia avevano trovato la loro salvezza.

In Italia la Comunità boliviana conta 3.637 immigrati regolari, due terzi dei quali sono donne.

Il 50% degli immigrati boliviani ha ricevuto un’istruzione universitaria o secondaria superiore, il che denota naturalmente un buon livello culturale. La loro presenza, raddoppiata negli ultimi cinque anni, sembra concentrarsi nella provincia di Bergamo, dove rappresentano circa la metà dei latinoamericani presenti nell’area. Il 90% di questi proviene da Cochabamba - la terza città più importante della Bolivia – e sono della classe media, impoverita dalla grave crisi economica o da contingenze ad essa correlate; ultimamente sono presenti anche professionisti, per lo più di sesso maschile, appartenenti a classi medio-alte.

 

LA COMUNITA' BRASILIANA

Nelle parole di una testimone particolare, Ana Claudia Pinheiro Teixeira, “Non è impresa facile parlare della presenza brasiliana in Italia. E ho scelto di usare la parola presenza, perché non credo che siamo una “comunità”. Siamo una presenza, delle presenze, tante presenze. Presenza estremamente eterogenea, diversificata, per nulla possibile da inquadrare. Una presenza quasi invisibile, assente, direi, quantomeno per quanto riguarda l’idea della cosiddetta comunità: e tanto dispersi, ognuno che cammina solo e per sé. Con un’ampia possibilità di mimetizzarci in mezzo al caleidoscopio metropolitano: vista la nostra variegatissima tipologia fisica, siamo quasi impercettibili. Quando lo vogliamo: perché sappiamo bene che se desideriamo farci notare, lo facciamo in modo eccelso, unico, nostro, singolare.”

Nel 2004 (dati Istat) la comunità brasiliana era la ventiduesima comunità straniera per dimensioni: 25.823 persone residenti, di cui 18.297 donne e 7.526 uomini. La maggior parte arrivati per motivi familiari (più del 50 per cento)  o per lavoro (poco più del 24 per cento); molti regolarizzati nell’ambito della sanatoria del 2003 (quasi un quinto del totale). Piccola la percentuale dei permessi per lavoro autonomo (il 4 per cento), molto simile a quella per motivi di studio. Particolarmente alta, invece, la percentuale di permessi per motivi religiosi (il 12,7 per cento). Relativamente poco numerose, invece, le associazioni all’interno della comunità: sia per le caratteristiche culturali evidenziate nel piccolo profilo che abbiamo citato, sia forse per il tipo di occupazioni frequentate dai brasiliani: il lavoro domestico e di cura, innanzi tutto; e poi l’ambito religioso e  lo studio.

 

LA COMUNITA' ARGENTINA

Dopo gli esuli politici argentini degli anni ’70, dal 1989 arrivano in Italia anche gli esuli economici, ovvero gli immigrati argentini di origine europea, soprattutto italiana, con doppio passaporto, che riescono a convivere con due cittadinanze: quella argentina e quella italiana.  Dal 2002, dopo la crisi economica, si amplificano i progetti per sostenere il ‘ritorno’ o ‘rientro’ degli emigrati italiani in Argentina e degli argentini di origine italiana, i cosiddetti vu’ turnà.                                                

Gli argentini che hanno conservato il passaporto italiano entrano normalmente e compaiono nelle statistiche come iscrizioni anagrafiche di cittadini italiani dall’estero. Quelli che sono solo cittadini argentini arrivano con l’illusione di regolarizzarsi facilmente e trovano che la cosa è invece impossibile, finendo sul mercato del lavoro irregolare e nelle liste d’attesa dei vari centri che si occupano di immigrati. 

Gli argentini in Italia nel 2004 erano 13.720, di cui circa il 60 per cento donne. Come scrive Miguel Angel Garcia ne “Gli argentini in Italia: una comunità di immigrati nella terra degli avi” (Bologna 1992), gli emigranti argentini sono per lo più professionisti, tecnici e operai specializzati che provengono dalla Capitale – Buenos Aires - e dalle più importanti città del interno del Paese. L’immigrato argentino tipico è un uomo o donna giovane, sposato in patria o in Italia, che convive con il proprio coniuge e con uno o due figli. In generale, l’Italia non è scelto come paese d’attrazione. Possiamo trovare più fattori di espulsione che fattori di attrazione. E’ solo una possibilità per chi non ha più prospettive di futuro nel proprio paese. Per il nuovo arrivato la “intermediazione culturale” dei connazionali è una condizione centrale di successo dell’atto migratorio. Gli immigrati argentini fanno raramente ricorso all’assistenza pubblica, ed evitano, generalmente, i mestieri della strada (l’ambulantato, il lavaggio i vetri, l’accattonaggio). Una parte di loro trova sostegno in lontani rapporti parentali con famiglie italiane; altri, la parte maggiore, trova aggancio nelle reti di amicizia dei residenti argentini già stabiliti in Italia. Un’altra parte di immigrati è stata accolta e inserita nella società italiana dalle associazioni argentine in alcune città e dal volontariato cattolico in altre.

 

ALTRE COMUNITÀ LATINOAMERICANE

Sono 33 – secondo i dati Istat aggiornati al dicembre 2004 – le nazionalità latinoamericane presenti in Italia: oltre le dieci più numerose, di cui abbiamo proposto una scheda nei mesi precedenti, sono presenti cileni (3.320 residenti), messicani (3.043), uruguayani (1.575), paraguayani (580), dominicani (502), honduregni (491), guatemaltechi (449), costaricani (412), panamensi (347), nicaraguensi (337), haitiani (192) e giamaicani (119).

Sotto le cento presenze si segnalano immigrati da Trinidad Tobago, Antigua e Barbuda, Barbados, S.Vicente e Grenadine, Guyana, Bahamas, Belize, St.Kitts e Nevis, Grenada, St.Lucia e Suriname. Si tratta, per quasi tutte le Comunità, in maggioranza di donne, occupate nel lavoro domestico o di cura alle persone.

 

 

 

 

 

 

   

        Dipartimento di 

         studi umanistici

 

  

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