Carta di Arno Peters

 

 

 

 

Carta di Mercatore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI

Corso di Laurea magistrale in Storia e società

 

Analisi mappe e libri di testo

 

Gruppo 4:

Lorenzo Manca   lorenzokm.manca@gmail.com

Ginevra Pierucci                                                                                                   

Paolo Russo     

 

EUROCENTRISMO

Forse l'immagine più familiare che abbiamo del mondo è quella offerta dal planisfero costruito secondo la celebre proiezione di Mercatore (1512-1594): si avvolge

il mappamondo con un cilindro, sul quale si proiettano tutti i punti del globo terrestre. Il risultato è uno strano pianeta, che sembra gonfiarsi, o meglio 'distendersi’

tutto, mano a mano che si allontana dall’Equatore. Ne viene penalizzata, in termini di rapporti di grandezza, di dimensioni relative, soprattutto la parte centrale dei continenti, la fascia tra i due tropici, che comprende gran parte dell'Africa, l'Asia meridionale, il Centro e Sud America. L'Europa e il Nord America, in questa

proiezione, sembrano assai più grandi di quanto siano in realtà, nel confronto con il resto del mondo.


Prendiamo adesso il planisfero nella nuova proiezione di Arno Peters, uno storico tedesco: i profili dei continenti non sono più quelli cui siamo abituati, tutto

sembra falsato da una lente deformante. Ma le rispettive dimensioni, questa volta, sono quelle reali, le superfici sono comparabili, i rapporti angolari sono ben conservati, le linee nord-sud sono tutte rigorosamente verticali. Ecco Groenlandia e Canada riportati alla loro reale consistenza; ecco l'Europa ridimensionata

a quel piccolo 6,8 per cento del mondo che è sempre stata, e collocata nella posizione che le compete.
La proiezione di Peters ( che peraltro conserva qualche inconveniente) si basa su una concezione paritaria della terra: quella che invece noi occidentali abbiamo

nel cervello è proprio la vecchia proiezione di Mercatore, costruita quando l'Europa dominava e sfruttava il mondo intero. Si vede che quell'epoca non è del tutto tramontata: con l'Europa al centro, e l'emisfero meridionale visto come una semplice appendice della civiltà, la geografia si fa specchio dei nostri squilibri.

 

ANALISI DEI LIBRI DI TESTO STORICI

Il Gruppo 4 ha provato ad analizzare la quantità di pagine dedicate ai Paesi extraeuropei in 3 volumi di Storia per il liceo dedicati al periodo dal 1350 al 1900.

Profili Storici dal 1350 al 1650, Giardina, Sabatucci, Vidotto, vol 1, ed. Laterza.
Pag. tot. 307
dedicate a Civiltà extraeuropee: 0.

Profili Storici dal 1350 al 1650, Giardina, Sabatucci, Vidotto, vol 2, ed. Laterza.
Pag. tot. 702
dedicate all'impero Ottomano: 4.
dedicate alle Civiltà precolombiane: 4.

Storia, Dal 1650 al 1900. Giardina, Sabatucci, Vidotto, vol 1, ed. Laterza.
Pag. tot. 610
dedicate all'impero Ottomano: 3
dedicate all'impero Moghul in India: 2
dedicate alla dinastia Qing della Cina imperiale: 3
dedicate al Giappone Tokugawa: 2.
dedicate alle Colonie europee nell'America Settentrionale e Meridionale: 11.
dedicate agli Stati Uniti d'America. 25.
dedicate al Giappone Meiji: 1.

 

ANALISI DELLE CARTE GEOGRAFICHE

Qual è il centro del mondo?

 


In questo planisfero l'Europa si trova al centro ben proporzionata; alle periferie troviamo gli altri continenti.



In questo altro planisfero cinese invece è la Cina ad essere collocata al centro, ben proporzionata, mentre l'Europa appare deformata e schiacciata sull'angolo sinistro in alto. D'altra parte già nel XVII secolo l'imperatore Cinese rifiutò il planisfero disegnato dal Gesuita Matteo Ricci perché la Cina non era al centro ed era troppo piccola rispetto al resto del mondo: allora il gesuita realizzò un altro planisfero, con la Cina ben piazzata al centro, che incontrò il favore del sovrano.

MAPPE MIGRATORIE


La prima parte di questo lavoro è focalizzata su quelle che si potrebbero definire “mappe migratorie”. Sono un tipo di mappe che raramente troviamo, sia nei libri scolastici che negli organi d’informazione. Nei libri di storia siamo abituati a trovare mappe di “invasione”, quelle determinate dalle occupazioni belliche; o mappe statiche, che intendono solamente mostrare la situazione geografica di un dato luogo in un determinato tempo, o al massimo la sua evoluzione. Ma quasi mai si riscontrano mappe che ci mostrano - nonostante se ne parli, anche se in misura quasi insignificante - quelli che sono stati e che tutt’ora sono gli spostamenti significativi di grandi masse di persone, senza distinzioni di nazionalità.

L’immagine qui accanto rappresenta una delle mappe migratorie più diffusa in rete: vi vengono rappresentate, attraverso le bandiere dei Paesi di provenienza, le Comunità straniere più numerose nei vari Stati europei. Da questa mappa si evince che in Italia la comunità più diffusa è quella romena, in Francia quella algerina, in Germania quella turca, in Inghilterra quella indiana, nella Federazione Russa quella ucraina, e così via. L’Italia, per i romeni, è forse il paese più sviluppato e allo stesso tempo più vicino e facile da raggiungere. La Francia ospita un gran numero di nordafricani, in particolare algerini, a causa del suo passato coloniale. Così come l’Inghilterra per gli indiani e i pakistani. La Russia ospita molti ucraini che scappano dagli scontri nati proprio tra i due paesi.

Tra i siti più interessanti, un database delle migrazioni internazionali, con dati raccolti nel 2013 dalle Nazioni Unite: una mappa interattiva dell'immigrazione mondiale.  (http://www.pewglobal.org/2014/09/02/global-migrant-stocks)
“Global Migrant Origin Database”, infine, è il nome di un enorme archivio dati: il sito (http://migrationsmap.net/#/ITA/arrivals), propone una mappa che permette di selezionare un paese e vedere il numero (per popolazione) di immigrati e il numero (per paese di destinazione) di emigrati. I dati fanno però riferimento a censimenti effettuati intorno al 2000, raccolti dal “Development Research Centre on Migration, Globalisation and Poverty”.


LE MIGRAZIONI OGGI

Il fenomeno migratorio è uno di quei fenomeni sempre esistiti, ma di cui si avverte la presenza solo in momenti critici della nostra storia. Oggi, ad esempio, si parla tanto di immigrazione, perché al centro della nostra attenzione, e dei media che ce la propongono, c’è la paura, se non l’ossessione, del terrorismo. Molte sono state le voci per cui alcuni dei terroristi che circolano in Europa sono arrivati proprio nascosti tra i migranti che sbarcavano sulle nostre coste. Di certo, oggi più che mai, le guerre sono la prima causa di fuga dal proprio paese di origine. Guerre di cui a volte non si parla molto sui giornali o in tv, ma che, anche senza il nostro coinvolgimento, vanno avanti. Buona parte degli stranieri che ogni giorno ci troviamo davanti e incrociamo per strada, viene da paesi che erano o sono in guerra, o paesi in cui la libertà dell’uomo è quotidianamente minacciata. Siriani, palestinesi, turchi, pakistani, tunisini, libanesi, libici: insieme, sui barconi, hanno affrontato il viaggio della speranza,  e molti non ce l’hanno fatta.

Alcuni, forse, ricorderanno la tragedia tra il 18 e il 19 aprile 2015, in cui morirono più di 700 migranti, dopo il naufragio della loro imbarcazione. Eravamo nell’affollato Canale di Sicilia, punto di transito per un gran numero di migranti. Per lo meno, per tutti quelli che ci “riguardano”.

 

Dal punto di vista italiano, la maggior parte dei migranti proviene da paesi dell’Africa e dell’Asia. Questa mappa ce lo spiega in modo più chiaro. I migranti provengono dall’Africa centrale, dal Nord Africa e dal Medio Oriente; da quest’ultimo, molti passano per la Turchia e l’Ungheria fino ad arrivare nel centro dell’Europa, con obiettivo la Germania o i Paesi scandinavi.

“Nel porto libico di Zuwara, da dove partono ogni giorno chiatte in direzione dell’Italia, raccontano che non esistono attracchi separati per gli scafisti. La stessa imbarcazione usata per pescare oggi trasporta centinaia di persone domani… Il porto di Zuwara è controllato dal gruppo etnico berbero, gli amazigh, che vivono di traffici e di commercio. Essi hanno il controllo del territorio e possono far cessare da un giorno all’altro le partenze. È cruciale intrattenere rapporti diretti con i leader di questi per smettere di proteggere il traffico di esseri umani.” (Federico Varese, da “la Stampa” del 25/4/2015)

 

L’INCONTRO CULTURALE TRA ISTITUZIONI E SOCIETA’

Le migrazioni sono dei movimenti umani, dei viaggi personali dalle motivazioni più varie che si sommano tra loro seguendo delle catene informali fino a creare dei flussi umani. Portano con sé delle storie di viaggio, ma anche delle culture che approdano in territori sconosciuti e li plasmano. Così accade che "la storia dell’immigrazione non è solo la storia delle persone che emigrano ma è anche la storia dei territori in cui si recano e dell’impatto che hanno sui territori stessi", come ha scritto lo scrittore Thomas Sewell nel suo libro "Immigrazione e cultura".


L’integrazione, tra i migranti e la società stanziata nel territorio d’arrivo, comporta evidentemente l’incontro tra due culture. Ci sono tanti modi in cui quest’incontro può avvenire e a seconda delle modalità di incontro culturale può definirsi un tipo di convivenza piuttosto che un altro. Le società in cui viviamo sono il risultato di questo processo, le nostre prospettive future pongono le loro basi su questo processo, la nostra storia e la nostra cultura, che noi trasmetteremo alle prossime generazioni come identità collettiva nazionale, sono il risultato dell’integrazione, dell’incontro culturale.
L’integrazione è senz’altro un punto importante del fenomeno migratorio e costituisce il punto centrale dello studio dell’immigrazione. Sociologi e studiosi hanno elaborato delle categorizzazioni basandosi sull’analisi delle diverse modalità di integrazione che storicamente hanno preso piede nei vari paesi del mondo.

Possiamo quindi fare riferimento ai quattro modelli d’integrazione elaborati da questi studiosi, l’assimilazione, il melting-pot, l’integrazione funzionale e lo scambio culturale, per poi capire che in Italia non vige nessuno di questi modelli e che anzi, in Italia, non vige alcun modello.


Il modello d’assimilazione prevede un completo inserimento dell’immigrato nella società d’arrivo. A lui vengono attribuiti gli stessi diritti e doveri dei cittadini locali. La sua identità viene equiparata ufficialmente a quella della nazione in cui si stabilisce attraverso un procedimento burocratico che evidentemente non si traduce in realtà sociale dall’oggi al domani. L’assimilazione vede i singoli come soggetti migranti e non prevede dei diritti comunitari né alcun tipo di riconoscimento alle comunità di origine straniera. Affianco all’assimilazione burocratica andrebbe implementato un programma di riconoscimento culturale dell’identità dei migranti come singoli e come comunità culturalmente diversi.
Il modello del melting-pot riconosce invece l’esistenza di comunità e di identità altre rispetto a quella nazionale e prevede il loro insediamento senza integrazione con la comunità originaria. Il rischio è quello di creare dei gruppi sociali isolati segregati in centri territoriali zone che gli appartengono ma tra le quali non c’è comunicazione e se escono dai loro piccoli mondi si sentono di nuovo stranieri.
L’integrazione funzionale è un modello costruito attorno ad una concezione strettamente economica del migrante: forza lavoro. Il suo ruolo nella società viene riconosciuto solo in base al proprio rendimento lavorativo e come tale non prevede un’integrazione culturale né uno stanziamento definitivo. La società ospitante si preclude quindi la possibilità offerta dalla migrazione dello scambio culturale, quasi a proteggersi.
Il modello dello scambio culturale valorizza invece proprio questo aspetto: la differenza diventa un elemento positivo per la società, di crescita e contaminazione culturale creativa. I migranti vengono quindi accolti quali portatori di culture altre e nel riconoscimento del relativismo culturale l’incontro diventa liberamente creativo. Il limite di questo modello sta proprio nella sua spontaneità ed eterogeneità che lo rende particolarmente delicato e difficile da mettere in pratica a livello nazionale. Questo non significa che sia impossibile piuttosto che sia necessaria una politica unitaria nazionale e inter-nazionale lungimirante e un’educazione sociale e civica affinché possa verificarsi pienamente.


In Italia infatti non è stata elaborata nessuna linea politica per affrontare questo fenomeno: e in mancanza di una normativa nazionale la gestione dell’integrazione è stata demandata agli enti e alle associazioni locali.

Latif Al Saadi, scrittore e mediatore culturale, ha ricostruito un panorama della politica italiana per l’integrazione rinvenendo dei modelli regionali differenti e non comunicanti tra loro:
- Politica custodialistica, quella che mette in evidenza il tema della sicurezza, è riscontrabile particolarmente a Genova e a Torino.
- Politica assistenzialistica, quella che rivolge particolare attenzione al sostegno e all’assistenza per gli stranieri residenti o transitanti sul territorio. E’ riscontrabile

  maggiormente al centro-nord, in particolare a Roma e nel Lazio.
- Politica di promozione, dimostra un pensiero di integrazione ma circoscritto nella realtà oppure occasionale. Essa si interseca alla politica assistenzialistica di Roma

  e del Lazio ed è riscontrabile anche in alcune zone del sud Italia.” (http://www.immiweb.org/?q=it/modelli_intercultura)
In Italia si elabora normativa sull’immigrazione solo quando si presentano delle situazioni d’emergenza. Il fenomeno dell’integrazione culturale e sociale, pur costituendo il nucleo centrale della questione migratoria, viene sottovalutato dai politici italiani a tal punto da non essere neanche preso in considerazione.

 

L'INTERCULTURA NELLA SCUOLA ITALIANA

Il tema delle seconde generazioni è di grande rilevanza in Italia, come si apprezza non solo dal crescente interesse mostrato dai media, ma anche dai dati. Prendendo le statistiche elaborate dall’IDOS nel Dossier Statistico Immigrazione del 2015, le seconde generazioni superano il 50% degli alunni stranieri nella scuola italiana: sono l’85% nella scuola dell’infanzia, il 68% nella scuola primaria, il 43% nella secondaria e il 19% nell’università. Secondo i dati raccolti l’attuale composizione della società italiana è il “frutto di un’immigrazione stabile e di lunga durata e ci parla di un mutamento strutturale della società italiana che richiede risposte altrettanto mature”.
Tale situazione è stata affrontata anche in seno al MIUR, perché evidentemente coinvolge a pieno il sistema scolastico. Nel febbraio del 2014 è stato pubblicato un documento di valenza nazionale, le “Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri”, segno che questo argomento ha un’importanza sempre maggiore per lo Stato Italiano. Al suo interno viene dato forte rilievo alle seconde generazioni poiché viene rilevato che "la trasformazione più significativa (nella società italiana) è l’aumento degli alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia (a fronte dei quali) si riduce il numero dei neo-arrivati".
Nel documento si affronta il nodo dell’educazione scolastica per gli alunni senza cittadinanza italiana, poiché “la legge 1992 sulla cittadinanza, non adatta all’odierna realtà migratoria… soprattutto per chi (in Italia) vi nasce, cresce, studia, dovendo aspettare la maggiore età per ottenerla”, crea nella scuola un ampio numero di studenti stranieri italiani.

Seguendo le indicazioni del Consiglio d’Europa, secondo il quale “le lingue sono la base prima, il fondamento, della formazione delle identità individuali e collettive degli apprendenti”, la guida del MIUR vede “opportunità di confronto intenso tra culture entro le giovani generazioni che vivono nel nostro paese”, in un “punto di vista diverso su un tema geografico, storico, economico, ecc, e la loro capacità metalinguistica, che nel frattempo ha avuto modo di allenarsi e che si è affinata”.

La lettura di questa guida ci ha portato ad analizzare la programmazione scolastica nazionale, per capire quali siano nella pratica gli approcci e gli studi che la scuola italiana propone agli stranieri e agli stranieri italiani. L’ultima programmazione scolastica a livello nazionale risale però al 2012 e non è stata ancora aggiornata in base alla più recente guida. Pur così è interessante notare l’importanza data alla multiculturalità in ognuno dei punti trattati. Il primo capitolo, intitolato per l’appunto “Per una nuova cittadinanza”, inizia così:


L’obiettivo è quello di valorizzare l’unicità e la singolarità dell’identità culturale di ogni studente. La presenza di bambini e adolescenti con radici culturali diverse è un fenomeno ormai strutturale e non può più essere considerato episodico: deve trasformarsi in un’opportunità per tutti. Non basta riconoscere e conservare le diversità preesistenti, nella loro pura e semplice autonomia. Bisogna, invece, sostenere attivamente la loro interazione e la loro integrazione attraverso la conoscenza della nostra e delle altre culture, in un confronto che non eluda questioni quali le convinzioni religiose, i ruoli familiari, le differenze di genere.

La guida del 2014 si inserisce quindi a pieno nelle linee configurate due anni prima da questa programmazione. Ma focalizza la propria attenzione soprattutto sulla valorizzazione della diversità linguistica. In realtà le indicazioni nazionali del 2012 sono di più ampio respiro e propongono un ripensamento completo dell’insegnamento scolastico sotto questa nuova prospettiva. I programmi scolastici innanzi devono essere sempre più interdisciplinari: devono cioè sviluppare dei collegamenti sempre maggiori tra una materia e l’altra.

La storia in particolare viene scelta come materia di collegamento, perché da un lato serve a consolidare la conoscenza delle tradizioni e della memoria nazionali: non si possono realizzare appieno le possibilità del presente senza una profonda memoria e condivisione delle radici storiche. D’altro canto la scuola d’oggi, “deve formare cittadini italiani che siano nello stesso tempo cittadini dell’Europa e del mondo”.
Viene rilevato infatti come “i problemi più importanti che oggi toccano il nostro continente e l’umanità tutta intera non possono essere affrontati e risolti all’interno
dei confini nazionali tradizionali, ma solo attraverso la comprensione di far parte di grandi tradizioni comuni, di un’unica comunità di destino europea così come di un’unica comunità di destino planetaria”. Argomento quanto mai attuale oggi, cioè a pochi giorni dagli attentati del 13 novembre a Parigi che hanno sconvolto l’opinione pubblica europea e internazionale riaprendo la discussione sulle migrazioni, sulla libertà di circolazione e sull’integrazione sociale con un’urgenza crescente.
E’ sempre la storia ad acquisire un ruolo di responsabilità a tale scopo:


Perché gli studenti acquisiscano una tale comprensione, è necessario che la scuola li aiuti a mettere in relazione le molteplici esperienze culturali emerse nei diversi spazi e nei diversi tempi della storia europea e della storia dell’umanità. La scuola è luogo in cui il presente è elaborato nell’intreccio tra passato e futuro, tra memoria e progetto.


L’importanza della storia attribuita dalle indicazioni nazionali al nuovo modello educativo multiculturale non è priva di fondamento. La scuola pubblica infatti serve
non solo all’alfabetizzazione ma contribuisce a creare dei soggetti civili: i cittadini. Dei cittadini consapevoli come siamo soliti dire oggi. Tale necessità nasce inizialmente nell’era delle unificazioni nazionali e della nascita degli Stati moderni quando era necessario creare un retroterra culturale comune in una popolazione che non aveva ancora avuto una storia comune, una storia nazionale appunto. La storia era stata quindi uno strumento fondamentale per l’educazione e la creazione dei nuovi cittadini ma aveva svolto un’omogeneizzazione culturale per ottenere questo risultato. Oggi che la scuola deve formare cittadini italiani, ma anche d’Europa e del mondo, come rilevato dalle Indicazioni nazionali, “la scuola può porsi il compito più ampio di educare alla convivenza proprio attraverso la valorizzazione delle diverse identità e radici culturali di ogni studente”.

   

        Dipartimento di 

         studi umanistici

 

  

            Cooperazione

Università Roma Tre

  

 

 

 

 

     Gruppi di lavoro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

               Indietro

ndietro