Ambulanti senegalesi
Jerry Masslo
La rotta libica
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POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI Corso di Laurea magistrale in Storia e società
Analisi della politica italiana
Gruppo 4
Francesco Mastrangelo francesco.mastrangelo@hotmail.it Luca Cipriani Giacomo Falciano Una parte del Gruppo di lavoro ha analizzato la storia generale della politica migratoria italiana, approfondendo il tema sul testo "Le politiche dell'immigrazione in Italia dall'Unità a oggi" di Luca Einaudi, editore Laterza. (i siti web www.interno.gov.it / www.esteri.it). Inoltre si sta documentando anche sulle modalità di ingresso degli immigrati in Italia, tra cui il "Testo unico sull'immigrazione- dlgs n.286/1998". Infine, il Gruppo sta studiando il testo "La protezione negata. Primo rapporto sul diritto di asilo in Italia" dell'ICS-Consorzio italiano di solidarietà. Francesco Mastrangelo - Lo Ius soli Si veda l'analisi di Mastrangelo per il Gruppo 1.
Luca Cipriani - Le politiche italiane sull'immigrazione Le politiche italiane sull'immigrazione rappresentano la risposta tardiva all'emersione di un fenomeno che comincia a dimostrarsi di dimensioni meritevoli di attenzione nel Paese, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. Il mondo politico vive una lunga fase di disattenzione, che si protrae fino ai primi tentativi di legislazione sul tema dell'immigrazione, negli anni 80. Questa impasse è dovuta all'incapacità di comprensione del processo nella sua strutturalità, come uno dei sintomi di una inversione profonda dei caratteri dell'economia e della società italiana. Il 1975 è l'anno in cui per la prima volta è positivo il saldo della migrazione netta (differenza tra arrivi e partenze): ciò segnala solamente a livello statistico un fenomeno di immigrazione già in atto negli anni precedenti, pur nella sua latenza. Nella nebulosa riflessione politica di questi anni il calo demografico italiano, condiviso con gli altri grandi Paesi europei, è quasi assente. L'Immigrazione continua a venir letta al più come un processo transitorio, e il trattamento degli stranieri da parte del Ministero del lavoro e del Ministero dell'interno, a partire da fine anni settanta, è da considerarsi in una logica di gestione all'interno di un contesto normativo che non prevede la loro presenza. Le istituzioni operano infatti con un criterio fortemente protezionistico e al tempo stesso non organico e complementare: il Ministero del Lavoro vuole tutelare i lavoratori italiani dall'arrivo di stranieri potenzialmente concorrenziali a livello occupazionale; mentre il Ministero dell'Interno vuole arginare le possibili implicazioni dei flussi migratori a livello di sicurezza e ordine pubblico. Ne risulta che non è infrequente imbattersi in casi che sono regolari per un ministero e irregolari per l'altro. In questo panorama, i sindacati prima (a partire dal 1977), e l'associazionismo cattolico poi, saranno i primi a cogliere l'immigrazione come fenomeno strutturale e a mobilitarsi per chiedere interventi legislativi volti alla definizione di un quadro normativo adeguato, in una logica antidiscriminatoria e di parità di diritti degli immigrati con i cittadini italiani.
Dopo la spinta motrice impressa da sindacati e associazionismo cattolico, i governi, soprattutto a partire dall'inizio degli anni Ottanta, iniziano a mettere nella loro agenda politica la questione dell'immigrazione. Già nel 1978 il Censis (Centro studi investimenti sociali) era stato incaricato da Foschi, Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri dell'allora governo di unità nazionale presieduto da Andreotti, di condurre uno studio sul fenomeno, utile a orientare concrete linee di intervento. Il lavoro concluso dall'istituto aveva messo in luce un frazionato mercato del lavoro degli immigrati. I poli essenziali di esso erano costituiti da un'occupazione nell'industria del Nord, caratterizzata da parità di reddito e non concorrenzialità con i lavoratori italiani, e da un impiego nel terziario delle grandi città , nel settore agricolo e della pesca della Sicilia, segnati da bassa sindacalizzazione e maggior livello di sfruttamento. La conclusione dello studio avviava una stagione fervida di disegni di legge, ma priva di effettivi conseguimenti sul piano normativo, almeno fino al 1986, anno del primo provvedimento.
D'altronde negli anni Ottanta il ruolo dell'Italia nel sistema delle migrazioni internazionali era in chiaro mutamento. Il fenomeno immigratorio, che pur non stava assumendo le inquietanti dimensioni che iniziavano a essere vagheggiate da isolate voci politiche, si sarebbe reso "visibile", verso la fine del decennio anche all'occhio di un osservatore più superficiale, e avrebbe a quel punto conquistato una grossa rilevanza nel dibattito politico. In ogni caso nel panorama politico della prima metà degli anni Ottanta, due linee erano sotterraneamente a confronto. Da una parte vi era un indirizzo moderato e guardingo, preoccupato dall'impatto dell'immigrazione e dai derivanti costi sociali, dopo la fine del glorioso trentennio europeo (1945-1975). Dall'altra vi era una posizione solidaristico-politica a favore di misure di apertura verso gli stranieri, che non aveva ancora trovato sponda nei datori di lavoro. La legge Foschi del 1986 si configurava all'interno di questo quiescente sviluppo di orientamenti. Essa muoveva da una visione solidaristica portata avanti dall'ala riformista della Democrazia Cristiana, e scavalcava nei suoi punti di apertura, persino le proposte di provenienza socialista e comunista. Ma al tempo stesso il risvolto complessivo del provvedimento era di chiara natura restrittiva. Esso si presentava infatti come una legge molto garantista per i pochi lavoratori capaci di usufruirne, e come un provvedimento di chiusura per tutti gli altri, essendo indirizzato esclusivamente al lavoro dipendente, e ignorando completamente il lavoro autonomo e ambulante. Inoltre venivano resi ancor più articolati i meccanismi di importazione di forza-lavoro dall'estero, appesantendoli con preliminari accertamenti dei settori di lavoro inevasi dagli italiani. Questa impostazione risentiva ancora inconsciamente di un approccio protezionistico e di pianificazione, tipico del decennio precedente. La sanatoria prevista dal testo legislativo consentiva di regolarizzare la posizione degli stranieri già presenti irregolarmente o illegalmente. Gli interessati potevano anche dichiararsi disoccupati, iscrivendosi quindi immediatamente agli uffici di collocamento. In ogni caso il problema dell’impiego nel lavoro sommerso era solo rimandato: il rinnovo del permesso di soggiorno per i lavoratori stranieri era impossibile senza dimostrazione di un lavoro documentato da parte di essi.
L’incremento delle posizioni irregolari degli anni successivi, legati ai criteri ristrettivi delle politiche di ammissione, portavano all’avvio di un nuovo ciclo legislativo, culminato con la legge Martelli del 1990. In questo quadro la fugace fiammata economica del 1986-1990 (con crescita media del Pil al 3%), creava nuovi spazi d’impiego per accorrenti lavoratori stranieri. L’aumento dei lavoratori stranieri impiegati nell’industria o delle colf era meno rilevato e percepito dall’opinione pubblica, mentre quello più avvertito, e che generava prime esplosioni di malcontento, era quello dei venditori ambulanti e dei lavoratori agricoli stagionali. Nel quadro di fine decennio e di inizio anni novanta inoltre, l’epilogo dei regimi dell’Europa orientale, con i conseguenti flussi provenienti dall’area, contribuiva ad avviare una metamorfosi della percezione del fenomeno dell’immigrazione verso una problematica essenzialmente connessa alla sicurezza e all’ordine pubblico. Già nella seconda metà degli anni Ottanta si erano iniziati a manifestare episodi di odio razziale , o almeno di aperta ostilità verso la crescita della presenza straniera. Le nascenti Leghe settentrionali avevano iniziato a cavalcare il tema in funzione di una chiara posizione di chiusura, identificando i loro nemici politici , in merito alla questione, nei partiti di sinistra, nella Chiesa e nei sindacati. Il clima politico, insomma, si era decisamente scaldato, mentre al culmine degli episodi d’intolleranza si era inserito l’omicidio Masslo del 1989 (rifugiato sudafricano, noto nel mondo dell’associazionismo e dei sindacati, ucciso dopo un tentativo di rapina a lavoratori stagionali), a fare da apripista alla volontà politica di un nuovo intervento legislativo. (vedi video) Così, nel 1990 , il vicepresidente del Consiglio , Claudio Martelli gettava le basi di un nuovo provvedimento da proporre al Parlamento. Esso prevedeva nei suoi tratti essenziali una sanatoria per i lavoratori già presenti in Italia; l’abolizione della riserva geografica del diritto d’asilo per i rifugiati politici; la revisione della legge Foschi del 1986 , al fine di garantire parità di diritti e accesso sanitario, previdenziale e abitativo; la programmazione flessibile del flusso d’immigrazione relativamente ai soli immigrati extracomunitari senza lavoro. La proposta di legge accendeva immediatamente divisioni e dissensi che non coinvolgevano solo partiti all’infuori della maggioranza, quali Msi e Lega Nord, bensì anche il Partito repubblicano, alleato di Governo. Esso infatti arrivava all’ostruzionismo parlamentare, contestando il principio secondo il quale si potesse dare largo ad una nuova sanatoria prima di una sistemazione normativa e di metodi efficaci di controllo dei nuovi flussi. Perciò il Pri proponeva l’obbligo di visto da Paesi con maggiori flussi irregolari, sanzioni per i datori di lavoro illegale, oltre a una più generale programmazione delle accoglienze in relazione al contesto occupazionale italiano. Questo indirizzo politico cercava inoltre di intercettare in chiave elettorale il malcontento dei commercianti e bottegai verso le nuove forme di lavoro ambulante, e di farsene portavoce in vista delle consultazioni locali del 1990. In ogni caso, a differenza dei profondi stravolgimenti , spesso strumentali, richiesti dalla Lega e dal Msi, molti degli emendamenti sostenuti dai repubblicani furono accolti nel testo di legge approvato definitivamente nel 1990. Esso, oltre a prevedere la già citata sanatoria, confermava l’abolizione della riserva geografica per i richiedenti asilo non europei. Introduceva inoltre nuove forme di permesso di soggiorno: quello per il lavoro autonomo; per gli ambulanti stranieri ; quello per il turismo, in funzione di controllo; quello per motivi di culto, richiesto dal Vaticano. Veniva quindi affidata la programmazione dei flussi annuali all’attività di decreto del ministero degli Esteri , dell’Interno, del Bilancio e del Lavoro. La legge prevedeva dunque una riforma restrittiva dei meccanismi d’ingresso: l’obbligo di visto era istituito per quasi tutti i Paesi di provenienza della maggior quota di flussi. In questo quadro normativo vi era la nuova definizione della disciplina delle espulsioni. Essa era prevista per intimazione, ed era rivolta verso coloro i quali si erano macchiati di gravi reati, o che avevano trasgredito le disposizioni in materia di ingresso o soggiorno. Nei fatti tale politica era destinata al fallimento per la scarsità di risorse destinate a farvi fronte (necessità di pagamento del personale di polizia, spese per il trasporto, per gli aerei ,e per l’indennità di missione del personale). Altro orizzonte non colmato dal provvedimento legislativo era quello relativo alle politiche d’integrazione per gli immigrati, per le quali mancavano quasi interamente misure e risposte. Regioni e Comuni venivano solamente investiti di contributi statali da indirizzare nell’ambito della prima accoglienza e nei servizi per gli immigrati. (Continua)
Fonti: A.Colombo-G. Sciortino ; "Gli immigrati in Italia"; Il Mulino. L. Einaudi ; "Le politiche dell'immigrazione in Italia dall'unità ad oggi "; Laterza. C. Bonifazi ; "L'immigrazione straniera in Italia", Il Mulino. M. Macioti, E. Pugliese; "Gli immigrati in Italia"; Laterza.
Giacomo Falciano - I rapporti tra Italia e Libia Il memorandum d’intesa tra Italia e Libia raffigura solo uno stadio del complesso disegno di esternalizzazione delle frontiere perseguito tanto dal nostro governo quanto dalle istituzioni dell’Europa unita. Il documento ha come aspirazione quella di sviluppare la cooperazione nell’alveo dello sviluppo, al fine di contrastare l'immigrazione illegale, il traffico di esseri umani e il contrabbando, rafforzando la sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana. Nel 2016 sono arrivate, infatti, via mare in Italia più di 180mila persone, molte delle quali partite dalla Libia. L’Italia cerca da tempo un accordo con il paese nordafricano sull’immigrazione, tuttavia, negli ultimi anni qualsiasi tentativo di cooperazione è stato aggravato dalla guerra civile e dalla mancanza di un esecutivo riconosciuto come unico legittimo dall’Occidente. Ancora oggi in Libia persistono, di fatto, due centri di potere, uno ad Est e uno ad Ovest, oltre a decine di milizie le cui alleanze sono molto fluide. Il capo del governo libico Sarraj, ha incontrato moltissimi problemi nell’amministrare anche solamente la parte ovest della Libia, quella attorno alla capitale Tripoli, essendo stato, quest’ultimo, anche oggetto di un tentativo di golpe. Ciò nondimeno rende di difficile comprensione le modalità con le quali il paese sahariano sarà effettivamente in grado di rispettare gli accordi presi col governo italiano. Il Ministro dell’Interno italiano, Marco Minniti, il 9 gennaio 2017, infatti si è recato a Tripoli proprio per gettare le basi di un’intesa con il governo di unità nazionale libico di Fayez al Sarraj. (...) I punti principali dell’accordo prevedono che le autorità italiane forniscano «supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina», cioè principalmente alla Guardia Costiera, migliorando, al contempo, le condizioni dei centri di accoglienza in territorio libico, finanziando l’acquisto di medicine, attrezzature mediche e formando il personale ospedaliero. Nello stesso giorno dell’incontro fra Gentiloni e Sarraj, il ministro degli Esteri Angelino Alfano ha annunciato la realizzazione di un progetto da 200 milioni di euro chiamato “Fondo per l’Africa”. L’entità sopracitata si occuperà concretamente di sovvenzionare le attività di sicurezza di alcuni paesi africani coinvolti nelle tratte di migranti. I paesi citati da Alfano come principali partner sono la Libia, la Tunisia e il Niger. Quasi certamente l’accordo firmato fra i due governi sarà in parte finanziato da questo fondo; anche Reuters ha evidenziato come l’esecutivo italiano non abbia ancora determinato quanti soldi intenda concedere alla Libia, e che più in generale, tenendo conto anche dei fondi europei, siamo molto distanti dalle cifre di un simile accordo preso fra Turchia e Unione Europea all’inizio del 2016 (cioè un finanziamento massimo di 6 miliardi di euro). L’accordo italo-libico, sostenuto dall’UE, genera i suoi primi effetti lasciando bloccati decine di migliaia di migranti subsahariani, e non solo, nel territorio del paese nordafricano. Questo scenario viene rivelato dalle duemila testimonianze raccolte da Medici per i Diritti Umani (Medu); la Libia di oggi viene descritta alla stregua di una prigione a cielo aperto; paradigmatica in questo senso la situazione a Sebha, una roccaforte desertica nel sud est della Libia circondata da filo spinato e miliziani provvisti di mitragliatrici lungo tutto il perimetro; all’interno si trovano due settori separati: uno per uomini, l’altro per donne e bambini, qui si consumano, nei riguardi dei profughi, nefandezze verificatesi solamente nei peggiori campi di sterminio del Novecento. Nel mese di luglio sono stati 11.322 i migranti approdati sulle coste italiane; meno della metà rispetto al 2016 (23.552). E' la prima volta, nel 2017, che si registra una diminuzione così pronunciata rispetto all'anno precedente. L’inversione di rotta di luglio sembra essere corroborata dai primi sette giorni di agosto con un numero di migranti sbarcati (1.137) che è meno di un quinto rispetto a quello della stessa settimana dell’anno precedente (5.902). La Guardia Costiera libica, a conferma di questo, ha fermato in mare 826 migranti per poi arrestarli e metterli nelle mani dell'organismo che si occupa della lotta alla migrazione clandestina. L’imbuto della rotta mediterranea centrale sembra dunque ostruirsi, abbandonando centinaia di migliaia di migranti subsahariani, e non solo, nel territorio libico. Questa situazione ha come conseguenza quella di lasciare alla mercé di organizzazioni criminali, miliziani, poliziotti e militari la massa degli espatriati. (Vedi il documento completo) https://www.a-dif.org/2017/07/21/fallisce-la-esternalizzazione-delle-frontiere-occorre-favorire-canali-di-ingresso-legale/ https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/04/29/italia-libia-migranti-guardia-costiera http://www.ilpost.it/2017/09/27/critiche-italia-libia-migranti/ https://www.nytimes.com/2017/09/25/opinion/migrants-italy-europe.html?mcubz=1 https://www.washingtonpost.com/news/monkey-cage/wp/2017/09/25/italy-claims-its-found-a-solution-to-europes-migrant-problem-heres-why-italys-wrong/?utm_term=.eb2f6dee5d68 http://www.repubblica.it/esteri/2017/02/02/news/migranti_accordo_italia-libia_ecco_cosa_contiene_in_memorandum-157464439/?refresh_ce http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2017/08/08/news/libia-172648143/ http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-02-03/accordo-italia-libia-migranti-063853.shtml?uuid=AEJP1RN http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2017/04/02/ASEzAzpG-migranti_accordo_bloccare.shtml http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/migranti-germania-francia-e-spagna-promuovono-italia-su-accordi-con-libia-e-ong-7a899fa9-f448-472b-a228-d420805c9a9e.html https://www.internazionale.it/notizie/2017/01/10/accordo-italia-libia-migranti http://www.ilpost.it/2017/02/03/laccordo-fra-italia-e-libia-sui-migranti/ Fonti governative accordi Italia-Libia: http://www.governo.it/sites/governo.it/files/Libia.pdf
Libri rapporti Italia Libia: Massimo Borgogni, Paolo Soave, Italia e Libia. Un secolo di relazioni controverse, Aracne, 2014. Paolo Sensini, Libia. Da colonia italiana a colonia globale, Jaca Book, 2017. Stefano Trinchese, La Libia nella storia d'Italia (1911-2011), Mesogea, 2015.
Francesco Mastrangelo - I Centri di Accoglienza in Italia L’accoglienza degli immigrati, in Italia, è un sistema che è stato definito ed istituzionalizzato piuttosto recentemente, dato che per tutto il corso degli anni 90 è stato quasi interamente gestito da Ong ed associazioni umanitarie, operanti spesso a livello locale e, inizialmente, senza alcuna solida rete di coordinamento. L’accoglienza offriva quasi esclusivamente sostegno materiale e di prima necessità, non incidendo, per mancanza di risorse, sul processo di integrazione dell’immigrato nella nuova società e su una gestione efficiente delle varie emergenze. (...) Nel 1999 si verifica una svolta per quanto riguarda il sistema di accoglienza degli immigrati in Italia. A seguito della crisi in Kosovo, che causò migliaia e migliaia di profughi, il nostro paese registrò il picco massimo di richiedenti asilo: circa 33 mila. L’Italia, per la prima volta, elaborò un progetto di accoglienza comune e mirato e, grazie anche ai fondi stanziati dall’Unione Europea, nacque Azione Comune, che fu operativo per tutto l’anno 1999-2000. Questo progetto, che ospitò una folta ed eterogenea partnership composta da Ong ed istituzioni statali, fu il primo vero e proprio programma di partenariato mirato all’accoglienza di profughi e immigrati e gettò le basi per la seguente evoluzione di questo settore. Durante l’anno 2000, infatti, il Ministero dell’Interno avviò il PNA (Programma Nazionale Asilo), una campagna mirata a realizzare interventi straordinari di accoglienza per richiedenti asilo, in cui erano coinvolti anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e l’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) che, attraverso i fondi dell’Otto per Mille e dell’Unione Europea, riuscirono a finanziare 59 progetti territoriali. Nel 2002 con la Legge n.189 Bossi-Fini viene riconosciuto di fatto il PNA, che assunse il nome di Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati, venne istituito il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, e furono presentati grandi cambiamenti sulle modalità di accoglienza e di gestione dei rifugiati. (...) Una volta che il cittadino straniero è entrato in Italia, e rispetta lo status di regolare, dovrebbe ricevere assistenza, secondo l’articolo 27 del Testo Unico, dallo Stato, regioni e autonomie locali per favorire il processo di integrazione attraverso programmi di reinserimento nel mondo lavorativo, culturale, linguistico e sociale. Questi programmi partono molto spesso dalle prefetture che, secondo il decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 18 dicembre 1999, ospitano i Consigli Territoriali per l’immigrazione, che si occupano di monitorare la presenza degli stranieri sul territorio e il livello di reinserimento sociale e lavorativo, promuovendo politiche di integrazione locale mirate e spesso in collaborazione con Ong e società civile. Per i cittadini stranieri entrati in Italia in modo irregolare l’iter è molto complesso e spesso dilatato nel tempo. Questi vengono accolti nei cosiddetti Centri per l’Immigrazione dove ricevono una prima assistenza mentre vengono identificati e trattenuti in vista dell'espulsione oppure, nel caso di richiedenti asilo, vengono avviate le procedure di accertamento dei relativi requisiti. Le strutture di accoglienza per l’immigrazione sono varie e si dividono per genere e scopo. Vi sono infatti: i centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA), centri di accoglienza (CDA), centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) e centri di identificazione ed espulsione (CIE). I CPSA ospitano gli stranieri al momento del loro arrivo nel nostro paese, offrono le cure mediche necessarie, provvedono ad una prima identificazione e concedono la possibilità di richiedere la protezione internazionale. Successivamente e a seconda della condizione individuale dei migranti, si procede al trasferimento nelle altre tipologie di centri. (Vedi il documento completo) Fonti: Maria Silvia Olivieri, “Rifugiati: la protezione negata. Primo rapporto sul diritto di asilo in Italia”, ICS Consorzio Italiano di Solidarietà. Testo unico sull'immigrazione dlgs n.286/1998 Legge Bossi-Fini 30 luglio 2002 n. 189
Giacomo Falciano - Migration Compact Il 15 aprile 2016 Matteo Renzi ha inviato a Jean Claude Juncker, presidente della Commissione europea, un documento non ufficiale inerente alla rimodulazione delle politiche europee nei confronti di quei paesi, perlopiù africani, interessati dal flusso migratorio diretto verso la sponda meridionale dell’Unione. La proposta prende il nome di Migration compact (patto sulla migrazione) ed include l’invito, rivolto a tutti i paesi membri UE, ad impegnarsi in progetti di investimento e nell’emissione di bond euro-africani che consentano a questi stati di finanziarsi, grazie alla supervisione europea, a tassi più convenienti rispetto agli attuali. Proprio riguardo questo punto, nella sua risposta epistolare, Juncker afferma come passi in avanti comuni siano stati compiuti durante il vertice datato novembre 2015 a La Valletta. Il summit ha infatti ufficialmente istituito l’EU-Africa Trust Fund con un budget da 1.8 miliardi di euro. Il fondo ha come obiettivo quello di rafforzare gli esistenti strumenti finanziari a disposizione dell’Unione Europea, cercando di estirpare alla radice il problema dell’immigrazione irregolare. Tutto ciò si traduce in programmi finalizzati allo sviluppo economico, infrastrutturale e sociale delle aree interessate. Lo statista lussemburghese, invocando lo spirito della Valletta, parla infatti di come questa entità abbia già permesso di avviare progetti, per un importo totale di 350 milioni di euro, concernenti la creazione di nuovi posti di lavoro, una migliore gestione dei flussi migratori e la sicurezza. Tornando nel dettaglio della proposta italiana, questa propone di vagliare la possibilità di approvare una serie di opportunità di accesso legali. Lo sblocco di quote d’ingresso, per lavoratori oppure studenti, potrebbe offrire anche l’occasione di corsi di formazione in loco; a questo vanno, ovviamente, sommati dei programmi di reinsediamento per i profughi, i quali andranno così a compensare l’onere di adeguare i sistemi di asilo agli standard internazionali per quei paesi terzi oggetto del documento. L’Europa, impostando la collaborazione sul principio del do ut des, pretende dagli stati interessati un impegno anche nelle attività di ricerca e soccorso, magari in cooperazione con la futura Guardia di Frontiera Europea, al fine di controllare le frontiere e ridurre i flussi migratori. Va poi garantita la cooperazione per i rimpatri, la riammissione dei migranti irregolari e con accordi operativi la presenza di ufficiali di collegamento che velocizzino le identificazioni e rilascio di documenti di viaggio. Ai Paesi terzi si chiede inoltre di dotarsi, con l’aiuto dell’UE, di sistemi di accoglienza e gestione dei flussi, che permettano di operare uno screening in loco tra migranti economici e soggetti bisognosi di protezione internazionale. I paesi europei forniranno poi l’assistenza necessaria ad istituire sistemi d’asilo nazionali che offrano protezione sul territorio, in linea con alcuni standard prefissati. (...) Il Migration compact rappresenta, secondo il vice ministro Giro, una grande opportunità di partecipazione e sviluppo, nell’ambito della globalizzazione, per i paesi africani; i quali si trovano tuttavia a dover superare una serie di problemi strutturali legati alla mancanza di infrastrutture e di fonti energetiche, comprese quelle rinnovabili, oppure alla debolezza del sistema agro-industriale. Tutto questo passa, ovviamente, per un grande piano comune che non si limiti alla mera adozione di strumenti con soli obiettivi di sicurezza. Tema, questo, pur sempre di grande importanza data la difficolta di molti Stati africani nel controllare le frontiere, permettendo così la sovrapposizione delle rotte migratorie a quelle della droga e delle armi in parte controllate dai terroristi. Mentre l’Africa chiede sicurezza, stabilità e sviluppo, l’Europa ha bisogno di sviluppo, gestione delle migrazioni e sicurezza. In questo un ruolo importante viene assunto dalla cooperazione, l’Africa è infatti il continente più dissanguato dalla fuga dei cervelli. Molti studenti formati sul territorio lasciano il proprio paese per non farvi più ritorno, depauperando e segnando, così, anticipatamente il destino di tutto il continente. Il Migration compact implica quindi a priori delle azioni transcontinentali concertate; il fatto che l’Europa si arrocchi soltanto su questioni di sicurezza e che l’Africa rimanga indifferente alla sorte tragica dei propri connazionali contribuisce, palesemente, ad inficiare lo sviluppo di un sistema di cooperazione virtuoso ed efficace. (...) In conclusione possiamo affermare come legami più stretti con gli stati africani contribuirebbero a stabilire una mobilità più ordinata verso l’Europa; una cooperazione più stretta con l’Africa non fermerà completamente l’immigrazione ma potrà mutare la natura dei flussi migratori, specialmente se preceduti dalla creazione di percorsi legali come parte integrante degli accordi di cooperazione. I nuovi partenariati proposti con gli stati africani non sono di per sè negativi, ma sarebbe ingenuo pensare che l’Europa possa semplicemente replicare l’accordo firmato con la Turchia trattandosi prima di tutto di entità ben diverse tra loro. La natura condizionale degli aiuti per lo sviluppo, vincolati dalla messa in atto di norme e prassi per la collaborazione in materia di immigrazione, è stata ampiamente discussa e, sebbene possa sembrare ragionevole, risulta essere in realtà molto complessa: è quasi impossibile infatti predire in che modo le politiche di deterrenza e sviluppo possano sinergicamente agire in contesti istituzionali differenti e contigui. L’applicazione di queste condizioni appare palesemente insostenibile sul medio e lungo termine a causa della natura semi dittatoriale dei regimi incaricati di svolgere il lavoro di controllo dell’immigrazione in cambio di tangenti travestite da aiuti per lo sviluppo. Senza contare come tali politiche contribuiscano a danneggiare la posizione dell’Unione Europa nell’arena internazionale. La stabilizzazione della Libia potrebbe essere lo strumento migliore in mano all’UE per ridurre i flussi irregolari. Una Libia più sicura infatti significherebbe per le molte che persone preferirebbero lavorare in quel paese ricco di risorse e relativamente sotto popolato, una più che valida alternativa alla mortifera traversata via mare con tutti i rischi ad essa associati. Nel continente africano la migrazione interna è un fenomeno numericamente molto più significativo di quello verso l’Europa, ma questo semplice assunto viene spesso ignorato nei dibattiti politici attuali. La tendenza è quella di far prevalere una visione euro centrica delle migrazioni, generando una deformazione nel modo in cui i politici concepiscono e cercano di approcciarsi al fenomeno migratorio. (Vedi il documento completo)
Articoli web migration compact: http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2016/04/15/migranti-ecco-cosa-prevede-il-migration-compact_dd9218ff-b185-46a0-8723-71194011eb5b.html http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-04-19/gentiloni-ampliare-portata-migration-compact-180512.shtml?uuid=AEd00s7 http://www.huffingtonpost.it/filippo-miraglia/migration-compact-il-piano-italiano-proposto-allue_b_9718790.html http://www.huffingtonpost.it/2016/04/17/migranti-_n_9715082.html https://www.a-dif.org/2016/04/19/migration-compact-la-commissione-europea-elabora-e-renzi-rivende-come-propria-la-proposta/ https://portaleimmigrazione.eu/cose-il-migration-compact-o-patto-sulla-migrazione/ http://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/interviste/2016/06/giro-il-migration-compact-non-puo.html http://www.vita.it/it/article/2016/04/22/migration-compact-mario-giro-ue-e-africa-corresponsabili-sulle-migrazi/139129/ Fonti governative migration compact: http://www.governo.it/sites/governo.it/files/immigrazione_0.pdf http://www.governo.it/sites/governo.it/files/LetteraRenzi.pdf http://www.governo.it/sites/governo.it/files/Lettera_Juncker_20160420.pdf
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