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POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI Corso di Laurea magistrale in Storia e società
Analisi della politica italiana ed europea
Gruppo 5:
Guido Palmieri guidopalmieri@live.it Enrico Guglini Niccolò Procopio
ANALISI DELLA POLITICA ITALIANA SULL'IMMIGRAZIONE
La legge Martelli
principale del testo di legge, che in effetti amplia e definisce lo status di rifugiato e il diritto di asilo politico a esso collegato. La seconda parte del testo si pone invece come un tentativo, per quanto tardivo, di regolamentare l’aumento esponenziale dei flussi migratori degli anni ’80, mediante programmazione statale dei flussi di ingresso degli stranieri non comunitari in base alle necessità produttive e occupazionali del Paese. Si delinea fin da subito quella che diventerà una costante della legislazione: la gestione dell’immigrazione da un punto di vista economico. Per quanto riguarda la lotta all’immigrazione clandestina, la legge Martelli introduce per la prima volta pene detentive e pecuniarie, aggravate dalla circostanza del concorso per delinquere. Pene lievi, se si considerano quelle attualmente in vigore: la reclusione fino a due anni o una multa fino a due milioni delle vecchie lire, aumentate a sei anni più una multa da dieci a cinquanta milioni in caso di concorso o lucro. al rilascio di un permesso di soggiorno da parte della questura o del commissariato di Pubblica sicurezza territorialmente competente che indica il motivo della permanenza, dal quale dipende la durata stessa del permesso che va da un minimo di tre mesi a un massimo di due anni. In materia di lavoro, la legge Martelli sembra più tesa a sanare una situazione pregressa che non a tracciare un quadro organico per il futuro, sostanziandosi in una moratoria atta a sanare le irregolarità che vedono i lavoratori stranieri più inclini, per necessità, a lavorare ‘in nero’ e a salari più bassi. Nonostante il poco respiro della normativa nel suo complesso, la legge Martelli ha comunque impostato la lenta e iniziale stabilizzazione dei migranti, attraverso i primi interventi volti all’integrazione e alla partecipazione alla vita pubblica.
delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero (dl 286/1998). È questo l’assetto su cui l’intervento legislativo più recente, la legge 189/2002 cosiddetta legge Bossi-Fini, è andato a incidere, in senso vessatorio e punitivo. Nonostante la Bossi-Fini costituisca formalmente solo una modifica al Testo unico, che riprendeva l’impianto della Turco-Napolitano, essa vi introduce significative modifiche, da un lato rendendo più difficoltoso l’ingresso e il soggiorno regolare dello straniero e agevolandone l’allontanamento, dall’altro riformando in senso restrittivo la disciplina dell’asilo. Il meccanismo fondamentale di controllo dell’immigrazione rimane la politica dei flussi, quantificata annualmente dal governo mediante un decreto che fissa il numero di stranieri che possono fare ingresso in Italia per motivi di lavoro. Chiaro l’intento, peraltro ereditato dalla normativa precedente, di controllare il fenomeno attraverso la limitazione numerica degli ingressi imposta dall’autorità.
La legge Bossi - Fini
quote preferenziali agli Stati che abbiano stipulato accordi bilaterali volti alla regolamentazione dei flussi di ingresso e delle procedure di riammissione. Si produce in questo modo una disuguaglianza sostanziale tra gli stranieri basata esclusivamente sulla loro cittadinanza. È infatti possibile che al lavoratore in possesso di tutti i requisiti venga negato il permesso di soggiornare in Italia per il solo fatto di appartenere a uno Stato che, a parere insindacabile del governo italiano, non abbia posto in essere una politica sufficientemente ‘collaborativa’, con il conseguente aumento di immigrazione clandestina da questi Paesi, impossibilitati a ‘esportare’ legalmente la propria forza lavoro. Per quanto riguarda le procedure di ingresso, in linea con la precedente legislazione, la Bossi-Fini impone allo straniero l’ottenimento di un visto rilasciato dall’ambasciata o dal consolato del Paese di origine. Precisa però che l’eventuale diniego non debba essere motivato. Questa eccezione alla regola generale per cui i provvedimenti della pubblica amministrazione devono essere motivati per permettere al cittadino di proporre ricorso, rende di fatto inappellabile il provvedimento di rifiuto. a seguito di condanna penale, anche patteggiata. L’estensione a questo tipo di condanna, che deriva da un accordo tra le parti e non da un accertamento di responsabilità, è un chiaro segno del carattere repressivo della legge che introduce l’obbligo per lo straniero che richiede il rilascio, così come il rinnovo del permesso di soggiorno, a essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici. Procedura solitamente riservata ai delinquenti còlti in flagranza di reato e non prevista né per i cittadini italiani né per i cittadini stranieri appartenenti ai Paesi dell’Unione europea. Anche per quanto riguarda le procedure di ingresso dei lavoratori subordinati non stagionali, ossia della maggior parte dei lavoratori stranieri, la Bossi-Fini conferma l’impostazione delle leggi precedenti. Il meccanismo è quello della chiamata nominativa. Il rilascio del permesso di soggiorno è subordinato all’ottenimento di un contratto di soggiorno, con il quale il datore di lavoro italiano si impegna a garantire al lavoratore straniero un alloggio e il pagamento delle spese di viaggio per il rientro nel Paese di provenienza. Si tratta chiaramente di una mistificazione: il legislatore presuppone che il datore di lavoro assuma il lavoratore straniero senza neanche conoscerlo, dal momento che dovrebbe trovarsi nel Paese di origine, non avendo ancora ottenuto il permesso di soggiorno. La pratica dimostra che nella maggior parte dei casi il datore di lavoro assume l’immigrato, magari clandestino o in possesso di un visto turistico, in modo informale, per poi formalizzare l’assunzione in un momento successivo attraverso la chiamata nominativa, facendo ‘apparire’ lo straniero in Italia al momento opportuno. È questo uno dei punti più claudicanti dell’intera struttura. Paradossalmente, la norma posta a contrastare l’immigrazione clandestina, alimenta di fatto il mercato della forza lavoro non tutelata e a basso costo, dal momento che solo nella clandestinità un lavoratore straniero può procacciarsi un impiego e, di conseguenza, la legalità. La Bossi-Fini, mediante modifica dell’art 23 T.U., ha peggiorato ulteriormente la situazione, abolendo il meccanismo più realistico per gestire l’ingresso dei lavoratori stranieri introdotto dalla Turco- Napolitano, che prevedeva la possibilità per il cittadino italiano o lo straniero regolarmente soggiornante, che intendessero farsi garanti dell’ingresso di uno straniero per consentirgli l’inserimento del mercato del lavoro, di presentare apposita richiesta nominativa alla questura della provincia di residenza. Il richiedente doveva dimostrare di poter assicurare allo straniero alloggio, sostentamento e assistenza sanitaria per tutta la durata del soggiorno; allo straniero era data possibilità, previa iscrizione alle liste di collocamento, di ottenere un permesso di soggiorno annuale a fini di inserimento nel mercato del lavoro. Una logica senz’altro più aderente alle normali dinamiche dei flussi migratori rispetto a quella attualmente in vigore. La Bossi-Fini si dimostra ostile anche verso il processo di stabilizzazione dell’immigrato dilatando da cinque a sei anni i termini per la richiesta della carta di soggiorno, quella che consente la permanenza a tempo indeterminato. risultata poi quella di maggior applicazione. L’espulsione amministrativa, disposta dal ministro dell’Interno o più comunemente dal prefetto per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, consisteva in un decreto motivato contenete l’intimazione a lasciare il territorio nazionale entro un termine di quindici giorni. L’espulsione eseguita con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica era prevista solo nel caso che lo straniero già espulso si fosse indebitamente trattenuto nel territorio dello Stato oltre il termine fissato dall’intimazione, oppure vi fosse la concreta possibilità che volesse sottrarsi all’esecuzione del provvedimento. Nel caso non fosse possibile l’immediato accompagnamento alla frontiera, per mancanza di un mezzo di trasporto adeguato o il compimento di attività di accertamento sull’identità e la cittadinanza dello straniero, la legge prevedeva che l’immigrato fosse trattenuto presso uno dei Centri di permanenza temporanea e assistenza, istituiti proprio a tale scopo. La ratio della norma è chiara: gestire le procedure di rimpatrio in forma amministrativa, attribuendo carattere residuale all’esecuzione forzata del provvedimento. In questo contesto l’utilizzo dei Centri di permanenza temporanea risultava teoricamente marginale rispetto alla gestione generale del fenomeno. La Bossi-Fini ha ribaltato questo scenario, invertendone le proporzioni. L’espulsione coatta diventa il meccanismo principale, rendendo residuale l’applicazione della sola intimazione. Il nuovo assetto ha comportato un incremento nel ricorso ai Centri di permanenza temporanea, divenuti di fatto centri di detenzione, dai quali tutti i clandestini sono costretti a passare, indipendentemente dal fatto di essere o meno socialmente pericolosi. Il carattere repressivo della norma si evince anche dall’innalzamento del limite temporale del divieto di rientro da cinque a dieci anni. La Bossi-Fini, attenta anche alla prevenzione del fenomeno, dispone maggiori controlli transfrontalieri, con particolare attenzione alla vigilanza delle coste, ampliando oltre il limite delle acque territoriali l’ambito operativo delle navi in servizio di polizia. Questo aspetto in particolare sembra essere in contrasto con l’art. 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, secondo il quale “ogni uomo è libero di lasciare il proprio Paese”. Lo straniero che si trova in acque internazionali, che non è ancora entrato in Italia, sta formalmente esercitando il suo diritto a emigrare; potrebbe ipoteticamente cambiare rotta e non entrare neppure nel territorio dello Stato, e quindi nella sua giurisdizione, eppure è sottoposto ai controlli della polizia italiana, esercitati in un ambito territoriale generalmente non riconosciuto dalle consuetudini del diritto internazionale. Le politiche migratorie italiane L’Italia, come ben sappiamo, è tra i paesi maggiormente esposti ai mutamenti dei flussi migratori: basti pensare, senza risalire troppo indietro negli anni, alle trasformazioni dell’ultimo secolo e mezzo. Dall’essere terra di emigrazione tra la fine dell’’800 ed il 1914, tra le due guerre mondiali e tra il secondo dopoguerra e gli anni ‘60/’70, l’Italia è divenuta meta di immigrazione, fino agli anni più recenti. Negli ultimi tempi, stiamo assistendo ad una nuova inversione di tendenza poichè la quota di coloro che lasciano l’Italia è tornata ad essere superiore rispetto alle persone che arrivano con l’intenzione di fermarsi stabilmente.
Il panorama politico italiano, nel corso degli ultimi sedici anni, è stato caratterizzato da posizioni altalenanti, quasi schizofreniche, in merito alle risposte elaborate verso i flussi migratori.
All’evoluzione del quadro normativo si sono puntualmente accompagnate, a seconda delle circostanze, diverse sanatorie volte a regolarizzare la posizione degli stranieri illegalmente presenti sul territorio italiano. Tali sanatorie rappresentano, per certi aspetti, la presa di coscienza dell’inadeguatezza dell’impianto normativo che più che rispondere alle problematicità, è volto al respingimento degli stranieri e conseguentemente, sembra determinare una sorta di “fabbrica dell’irregolarità”, risolta appunto per mezzo di sanatoria. Indirettamente, quest’ultimo strumento sembra incoraggiare i migranti respinti e coloro a cui non è stato rinnovato il permesso di soggiorno nel tentativo di rimanere in Italia in condizione di illegalità, nell’attesa del successivo provvedimento sanatorio volto a regolarizzare la loro posizione. Altra questione collegata a tale studio, è l’assenza di una legge organica sul diritto di asilo, nonostante che questo sia espressamente riconosciuto nella Costituzione italiana dall’articolo 10, comma 3. Su questo aspetto, va registrato il grande lavoro di numerose organizzazioni del terzo settore che continuano a denunciare il ritardo normativo in materia d’asilo, rispetto alla maggioranza dei paesi europei. Sul tema dell’accoglienza dei richiedenti asilo in Italia, è necessario porre l’attezione sul D.L. n°142/2015. Questo decreto, nel quadro del processo di graduale omogeneizzazione dell’accoglienza dei migranti, recepisce le direttive europee n°32 e 33 del 2013 e rappresenta l’ultima risposta del governo italiano alla situazione. Va sottolineato che il concetto fondamentale alla base del processo italiano ed europeo di accoglienza, ha come oggetto i richiedenti asilo e non i migranti in generale; sulla possibilità e sul riconoscimento o meno del diritto di chiedere protezione internazionale, si basa la risposta dei paesi membri ai flussi dei migranti. Tale risposta, come si evincerà in seguito, non sembra apparire sempre solidale e costruttiva.
L'OPERAZIONE MARE NOSTRUM L'operazione militare e umanitaria nel Mar Mediterraneo meridionale denominata Mare Nostrum è iniziata il 18 ottobre 2013 per fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria in corso nello Stretto di Sicilia, dovuto all'eccezionale afflusso di migranti (si veda anche una scheda con i dati statistici degli sbarchi negli ultimi anni). L'operazione è terminata il 31 ottobre 2014 in concomitanza con la partenza della nuova operazione denominata Triton. L'Operazione Mare Nostrum consisteva nel potenziamento del dispositivo di controllo dei flussi migratori già attivo nell'ambito della missione Constant Vigilance, che la Marina Militare ha svolto dal 2004 con una nave che incrociava permanentemente nello Stretto di Sicilia e con aeromobili da pattugliamento marittimo. L'Operazione aveva dunque una duplice missione: •garantire la salvaguardia della vita in mare;
Il dispositivo vedeva impiegato il personale e i mezzi navali ed aerei della Marina Militare, dell'Aeronautica Militare, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Capitaneria di Porto, personale del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana nonché del Ministero dell'Interno – Polizia di Stato imbarcato sulle unità della M.M. e di tutti i Corpi dello Stato che, a vario titolo, concorrono al controllo dei flussi migratori via mare. L'Operazione Mare Nostrum operava congiuntamente alle attività previste da Frontex. |
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