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POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI Corso di Laurea magistrale in Storia e società
Analisi della politica europea
Gruppo 5 . Alicia Martínez alicia.martinez1997@gmail.com Edoardo Fabrizi Siem Huijskes Patricia Lara Folch Wolfram Kuck
Il Gruppo si è diviso il lavoro: Patricia Folch lavorerà ad un'analisi sulla crescita dei partiti e dei movimenti contrari all'immigrazione; Wolfram Kuck studierà i nuovi movimenti migratori degli italiani in Europa; Edoardo Fabrizi si concentrerà sul discusso Regolamento di Dublino III; Siem Huijskes sulla mancanza di politiche di integrazione, che portano alcuni migranti a lasciare l'Europa; e per finire Alicia Martínez condurrà uno studio sugli effetti della Brexit nella immigrazione europea.
Gli effetti della Brexit sull’immigrazione europea (Alicia Martinez) Brexit è l'abbreviativo di Britain e exit (uscita). Come risposta alla crescita del partito nazionalista UKIP, alle pressioni sociali e alle pressioni dall'interno del suo partito, l’ex primo ministro David Cameron aveva promesso - se avesse vinto le elezioni del 2015 - di indire un referendum sulla uscita del Regno Unito dall'Unione Europea. Un anno dopo, il 23 giugno 2016, si è celebrato il referendum sulla Brexit: deve il Regno Unito rimanere o no nella Unione Europea? Il referendum, cui ha partecipato il 72,2% della popolazione, ha visto - contro le stesse previsioni di Cameron - la vittoria del Leave per il 51,9%. Dalla fondazione dell’Unione Europea, è la prima volta che un paese membro decide la sua uscita dall'Unione. Il risultato ha provocato molto disagio nelle generazioni più giovani, che temono di perdere la possibilità di abitare e lavorare negli altri Paesi comunitari. La maggioranza delle generazioni adulte, invece, hanno deciso di abbandonare l’UE giustificando la decisione con argomenti come l’autonomia nazionale e il controllo delle migrazioni. Secondo il Dossier Statistico Immigrazione 2017, l’esito del referendum ha rivelato che il Regno Unito è un paese diviso, e scontento per la situazione che ha vissuto negli ultimi anni. Il contesto sociale della Gran Bretagna è caratterizzato da una notevole caduta del livello di vita, anche a causa delle politiche di austerità causate dalla crisi finanziaria del 2008. Una delle maggiori preoccupazioni dei britannici nell’ultimo decennio è stata la crescita dell'immigrazione. Il punto di svolta si considera l’anno 2004, nel quale sono entrati nell’UE dieci paesi dell’Est Europa (tra gli altri Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria). Così, gli immigrati e l’Unione Europea sono incolpati per questo disagio generale, presente in diversi settori della popolazione del Regno Unito. Non a caso, infatti, con la vittoria della “Brexit” sono stati registrati più frequentemente casi di attacchi xenofobi contro diverse comunità di immigrati. Per parte del Governo, sono stati introdotti controlli rigorosi sull’immigrazione dall’UE. In realtà si tratta di un vero e proprio caprio espiatorio, visto che gli immigrati “hanno contribuito all’economia britannica molto più di quanto abbiano preso”. Per quanto riguarda all’asilo politico, secondo la giornalista Lyza Ramrayka il Regno Unito afferma che la politica d’asilo comunitaria non è “giusta per la Gran Bretagna”, e per questo non ha accettato le quote di rifugiati previste dalla riforma del Regolamento di Dublino: insomma, il Regno Unito partecipa alle politiche europee in materia di asilo e immigrazione in modo selettivo. Con l’uscita dall’Unione Europea, il Regno Unito cerca di di controllare le proprie frontiere e frenare la libera circolazione dei cittadini, che è una delle più importanti libertà che hanno i cittadini dell’UE.
I dati: le conseguenze già visibili della “Brexit” sulle migrazioni Secondo le statistiche dell’Office for National Statistics (ONS), la migrazione netta (ossia, la differenza tra quelli che immigrano e quelli che emigrano) nel Regno Unito è stata +246.000, registrata a Marzo dell’anno 2017. Suppone una diminuzione di 81.000 rispetto a l’anno precedente. Tra marzo 2016 e marzo 2017 erano immigrate 588.000 persone (50.000 meno che nel periodo precedente) e l'emigrazione internazionale dal Regno Unito era di 342.000 persone (31.000 in più dall’anno precedente). I risultati dell’anno 2017, simili a quelli del 2016, indicano che il referendum celebrato nel Regno Unito può influenzare le decisioni dei cittadini comunitari di andarsene o di immigrarvi, ma è ancora troppo presto per sapere se è una situazione contingente o invece se sarà una situazione che dura nel tempo. Il bollettino statistico dell’anno 2017 raccoglie anche le principali ragioni per cui si immigra nel Regno Unito, come si vede nella figura a destra. La maggioranza (siano cittadini della UE, di fuori dalla UE o cittadini britannici), immigrano nel Regno Unito per lavoro. Immigrati che ritornano ai loro paesi L’ONS ha anche segnalato che le cifre dei cittadini che sono tornati nei loro paesi d’origine, in particolare quelli dei paesi del centro ed est europeo: Repubblica ceca, Ungheria, Polonia, Estonia, Lituania, Lettonia, Slovacchia e Slovenia. Ossia, quei paesi che sono entrati nell’UE nell’anno 2004. Sono usciti anche cittadini di Romania e Bulgaria, che per molti anni non potevano accedere liberamente nel mercato di lavoro europeo. Gli imprenditori non sono felici per questi dati. Il portavoce dell’Institute of Directors ha affermato che “dato che la disoccupazione nel Regno Unito è molto bassa (4,5%), senza i tre milioni di cittadini dell’UE che ci abitano e lavorano, mancherebbero dei lavoratori”. Anche la Confederazione della Industria Britannica afferma che la perdita di cittadini comunitari è preoccupante. Britannici emigrati Se parliamo dei britannici emigrati, sono 1.800.000 circa, rispetto ai 2.300.000 cittadini comunitari che abitano nel Regno Unito. Ciononostante, il contributo finanziario dei cittadini comunitari allo Stato britannico è maggiore dal contributo dei britannici agli altri paesi: per esempio, in Spagna abitano 300.000 britannici, di cui il 48% sono pensionati. Così, l’economia britannica non si può permettere di rinunciare ai suoi lavoratori stranieri, e sembra che abbia poco da negoziare con la Unione Europea standone fuori. Nel futuro Gli effetti della Brexit sono già visibili. L'uscita del Regno Unito dell’UE avrà, secondo Per Wijkman [Brexit: A lose-lose proposition], conseguenze negative per l’UE e anche per i britannici. Il commercio britannico e le sue transazioni finanziarie verrano ridotte, visto che sono legate all’Unione Europea. Nello stesso modo, nella UE c’è il rischio che altri Stati membri seguano l’esempio. Comunque, la Brexit non comporterà il fallimento dell’Unione Europea, che rappresenta il 7% della popolazione mondiale ed è una delle regioni del mondo con il più elevato standard di vita. Secondo qualcuno, con la Brexit, questo radicale nazionalismo inglese cerca stabilire un nuovo ordine politico, morale e sociale, sulla base della“identità nazionale inglese”. I gruppi che appoggiano la Brexit sono contrari alla globalizzazione, e ifiutano il diverso, lo straniero: rifiutano, insomma, la multiculturalità nel Regno Unito. L’idea dell’uscita dall’UE viene rappresentata come la rinascita della grande nazione che è stata storicamente la Gran Bretagna, una potenza mondiale. Così, la libera circolazione dei cittadini comunitari (che è uno dei principi fondamentali dell’Unione) finirà tra pochi anni. Per ora, gli attacchi xenofobi verso gli immigrati sono più frequenti, e la divisione della società è più visibile. Per appoggiare la Brexit, si è usata l'immigrazione come argomento per spiegare la crisi economica e sociale del Regno Unito. Come accennato, nei primi giorni dopo la Brexit, si sono registrati più di 100 episodi xenofobi, secondo il Consiglio Musulmano britannico. Il Regno Unito sta facendo un passo indietro sui Diritti Umani. In realtà, probabilmente non ci sarà un futuro così negativo. Alla fine, molti analisti sono d’accordo: probabilmente la Brexit non fermerà l’immigrazione. Come si spiega nel Dossier statistico sull'immigrazione del 2017, con la Brexit s’incomincierà a regolare la migrazione, anche se non si sa ancora come. Il futuro della migrazione tra il Regno Unito e l’Unione Europea è ancora incerto. Quello che è sicuro è che l’economia britannica ha bisogno (e continuerà ad averne) dei lavoratori immigrati; e che i cittadini dell’Unione Europea vorranno comunque andare nel Regno Unito a lavorare o studiare.
Boom dei Partiti politici di estrema destra anti-immigrazione - (Patricia Lara Folch) Negli ultimi anni ci sono state una nascita e una crescita notevole dei partiti di estrema destra che respingono l'immigrazione e costruiscono la loro politica su parametri xenofobi. Abbiamo cercato di analizzare il contesto per dare una spiegazione al fenomeno: siamo partiti dai dati sull'immigrazione, per capire se si conciliano realmente con le reazioni sociali e politiche che l'immigrazione ha provocato questi ultimi anni. La tesi che difenderò sarà che questa reazione è, per molti versi, esagerata. Ma se i dati non possono darci una spiegazione convincente della crescita di questi partiti, come possiamo spiegarla? Così pensiamo sia necessaria un'analisi profonda dei dati che riguardano l'immigrazione: e abbiamo utilizzato il Dossier Statistico 2017, specificamente il capitolo su Il contesto internazionale ed europeo. Il numero totale dei migranti nel 2016 raggiunge la cifra di 65,6 milioni. Sono approssimativamente 17 milioni di rifugiati, dei quali il 50,1 % stanno in Asia, il 32,2 % in Africa, il 13,4 % in Europa ed il resto, 4,4 % tra America ed Oceania; 2.826.508 sono richiedenti di asilo, dei quali un 40,6 % si sono rivolti all'Europa; 40.300.000 gli sfollati interni; e 5.300.000 i rifugiati e gli sfollati interni palestinesi. Analizzando i paesi di origine e di arrivo troviamo questi dati: quanto ai rifugiati, i 5 paesi che ne accolgono di più sono: Turchia (2.869.421), Pakistan (1.352.560), Libano (1.012.969), Iran (979.435) ed Uganda (940.835). E i paesi d'origine più frequenti sono Siria, Afghanistan, Sud Sudan, Somalia e Sudan. Con questi dati possiamo tirare già alcune conclusioni. Dei 65,5 milioni di emigranti forzati, l’Europa raccoglie solamente il 13,4 % dei rifugiati, malgrado sia il territorio che ha più richieste di asilo . Questo flusso ammonta a poco più del 5 per mille della popolazione dell'UE. Pertanto, vediamo qui già una mancanza di buone intenzioni, poiché trattandosi di paesi dove il livello di vita e le risorse disponibili sono più alte, si verifica un livello di solidarietà internazionale realmente basso. D'altra parte, osserviamo come i principali paesi di accoglienza non sono europei, visto che l' 84 % dei rifugiati vive nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo. Il Libano ha una presenza di 1 ospite per ogni 6 libanesi, mentre l'Italia ne ha 1 ogni 412. Sarà normale secondo la logica dei partiti di estrema destra? Chissà che lo sia, ma senza dubbio non lo è per i valori dell'Unione Europea, che si suppone impegnata nella cooperazione internazionale; e non sembra razionale nemmeno l'enorme burocrazia legata alle richieste di asilo, o il trattamento indegno che è dato a molte delle persone che con tanta sofferenza riescono ad arrivare ai nostri paesi. In definitiva, un'analisi obiettiva dei dati sull'immigrazione non può spiegare la nascita e l'esplosione del consenso ai partiti di estrema destra xenofobi. La mera visione statistica dell'immigrazione ci porterebbe ad un'incoerenza: non si osserva correlazione tra paesi che ricevono più immigrazione e la crescita di questo tipo di partiti politici; l'impatto reale dell'immigrazione in Europa, comparato con altri paesi, è realmente basso. Perciò, visto che i dati non sono del tutto rilevanti, cercheremo una spiegazione nell'analisi qualitativa. Vedremo che le cause della crescita dei partiti anti-immigrazione sono 5: il neorazzismo, la prospettiva emergenziale della situazione, il terrorismo, l'euroscetticismo, la creazione di miti, e lo sconforto. (Vedi il documento completo)
Il grande paradosso Mentre cresce in Italia l’estrema destra anti-immigrati, gli italiani tornano ad essere un popolo di emigranti. (Wolfram Kuck)
In Italia, come anche in diversi altri paesi dell’Europa occidentale ed orientale, assistiamo alla crescita nell’ultimo decennio di forze politiche di estrema destra. Esse scaturiscono da un lato sicuramente dall’evoluzione che ha avuto l’area politica neofascista dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi e che possono quindi essere inquadrate in una cornice che potremmo definire del “neofascismo classico”. In questa cornice si inseriscono sia partiti che hanno scelto una facciata più istituzionale (gli eredi del MSI), sia formazioni più “movimentiste” (che comunque partecipano alle elezioni): che seppur numericamente non importanti, sono le più pericolose per quanto riguarda le azioni di violenza squadristica. D’altra parte però assistiamo all’emergere di nuove forze di destra che hanno una genesi ben diversa: su tutte, ma non è l’unico esempio, la Lega Nord, che al contrario del neofascismo nazionalista è nata sul secessionismo e ne ha fatto per molti anni la sua bandiera. Proprio negli ultimi tempi notiamo però un sostanziale avvicinamento e compattamento di queste variegate formazioni. Su cosa convergono formazioni che teoricamente dovrebbero essere separate da ostacoli ideologici e/o di prassi insormontabili? Da dove nasce il crescente consenso della popolazione nei loro riguardi? La risposta sta nello slogan adottato indistintamente da tutte queste forze, ovvero “Prima gli italiani”. Questo slogan è la sintesi dietro quale nascondere i più biechi sentimenti razzisti e xenofobi, mascherandoli come paura della popolazione italiana di perdere la propria posizione sociale a vantaggio o per colpa degli immigrati. La recente crescita dell’estrema destra in Italia trova quindi la sua origine nel sentimento razzista di ostilità indistinta verso gli stranieri, travestito da paure sociali. Non è un caso quindi che l’estremismo di destra si celi oggi in Italia dietro un discorso nazionalista (che in parte è solo strumento propagandistico, vedi l’evoluzione “lepenista” della Lega Nord attuata da Matteo Salvini) e dietro politiche di assistenza sociale, perché queste sono le due facce più presentabili per veicolare nella società il più classico stereotipo della narrazione razzista: la comunità nazionale minacciata da invasori stranieri che la vogliono distruggere infiltrandosi al suo interno. Una parte della popolazione italiana che dà il proprio consenso all’estrema destra è realmente mossa da sentimenti di intolleranza verso qualsiasi diversità; un’altra parte viene effettivamente sedotta da risposte rabbiose alla crisi economica e sociale che dal 2008 attanaglia il nostro paese. Particolarmente preoccupante è il fatto che anche movimenti politici che non sono apertamente e dichiaratamente di destra e che passano oggi sotto l’etichetta di “populisti”, adottino sul tema dell’immigrazione le stesse parole d’ordine degli estremisti di destra. La spiegazione è tanto semplice quanto inquietante: i cosiddetti populisti, senza bussola politico-ideologica-culturale di base, sono alla costante ricerca del consenso facile, ovvero sostengono quelle posizioni che ritengono avere più seguito nella popolazione. Nella loro analisi, in Italia le posizioni sul tema dell’immigrazione sostenute dalla frangia più estrema della destra sono oggi maggioritarie nella popolazione. Giusta o sbagliata che sia come analisi del consenso, essa è in ogni caso un segnale da non sottovalutare per misurare l’umore del paese. Eppure vi è un grande paradosso da sottolineare: mentre crescono i consensi all’estrema destra che si basa sulla narrazione anti-immigrazione, dall’inizio della crisi nel 2008 l’Italia deve invece confrontarsi con il fenomeno contrario, ovvero il ritorno all’emigrazione per costruirsi un futuro migliore altrove di centinaia di migliaia di italiani, di cui la maggioranza sono giovani con un’età compresa tra i 15 e i 39 anni. Dal 2008 infatti gli espatri sono costantemente a umentati, passando da 39.536 ai 114.512 del 2016. In questi nove anni di crisi economica il numero di italiani emigrati ha raggiunto l’importante cifra di 623,885. Da sottolineare inoltre che queste cifre si basano sui dati ufficiali dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) e che quindi i dati reali sono ancora maggiori, visto che non tutti gli emigranti ottemperano immediatamente all’obbligo di cancellazione della residenza in Italia. Specialmente nel contesto dell’attuale mobilità nell’Unione Europea, molti emigranti preferiscono inizialmente conservare la residenza nel proprio comune in Italia, aspettando di consolidare la propria posizione lavorativa nel paese scelto per l’emigrazione. Di fronte all’emergere di questo fenomeno di massa è dunque necessario chiedersi chi sono questi italiani che rinnovano oggi l’antica e nobile tradizione degli abitanti della penisola di emigrare in cerca di migliori opportunità lavorative e di vita: in quale fascia d’età rientrano? Da quale regione del paese provengono? Verso quale destinazione si dirigono? Che livello di istruzione hanno raggiunto? Come prima accennato il gruppo anagrafico maggiormente rappresentato nell’emigrazione italiana è quello giovanile (compreso tra i 15 e i 39 anni): vi rientra ben il 42,6% degli espatriati dal 2008. In questa nuova ondata si emigra da tutte le regioni italiane, sia dalle metropoli che dalla profonda provincia: dalla Lombardia, dal Veneto, dal Piemonte e dal Lazio. Ma il Sud (e specificatamente la Sicilia) continua, come nei precedenti storici, a guidare la classifica degli emigranti. Gli sbocchi riguardano principalmente, in Europa, la Germania e la Gran Bretagna (a seguire Svizzera, Francia e Spagna) e, oltreoceano, l’Argentina (a seguire Brasile, USA e Australia). In questa nuova ondata emigratoria si è trattato per i tre quarti di flussi intraeuropei. Chi espatria ha un livello di istruzione elevato: nel 2013 gli emigranti si suddividevano tra il 34,6% con la licenza media, il 34,8 % con il diploma e il 30% con la laurea. Nel 2016 hanno lasciato l’Italia 40.000 diplomati e circa 34.000 laureati. Questo particolare aspetto del fenomeno migratorio ha dato origine alle varie definizioni come “fuga dei cervelli”, brain drain, brain gain o brain circulation. E’ utile sottolineare nuovamente che in tutti questi casi parliamo di cifre ufficiali, i numeri reali sono ancora maggiori. Dunque, per sintetizzare i dati appena elencati, l’Italia sta tornando dal 2008 ad essere un paese di emigrazione, e gli emigranti sono in maggioranza giovani con un livello di istruzione superiore. Ma per comprendere a pieno la portata di questi numeri è necessario collegarli con altre statistiche. In Italia infatti la percentuale di adulti laureati si ferma al 18%, una delle più basse tra i paesi Ocse. Inoltre l’età media della popolazione italiana si attesta a 45 anni, una delle più alte del mondo, con ben il 22,3% della popolazione oltre i 65 anni. Il saldo naturale, ovvero la differenza tra il numero dei nati vivi e quelli dei decessi in un anno, è in negativo e in costante aumento dal 2007 (arrivando alla cifra record, per ora, di -161,791 del 2015). Si dipinge quindi di fronte a noi un quadro del paese a tinte molto fosche: un paese vecchio, che non fa più figli, che non investe sull’istruzione dei suoi giovani, ma che anzi li fa scappare a gambe levate (soprattutto quei pochi che sono riusciti a formarsi). (continua) Fonti: Centro Studi e Ricerche IDOS e Centro Studi Confronti, Dossier Statistico Immigrazione 2017, IDOS Edizioni, Roma, ottobre 2017 Patrizia Audenino, Maddalena Tirabassi, Migrazioni italiane. Storia e storie dall’ancien régime a oggi, Bruno Mondadori, Torino, 2008. Davide Conti, L’anima nera della repubblica. Storia del MSI, Laterza, Bari, 2013 Guido Caldiron, La destra sociale da Salò a Tremonti, Manifestolibri, Roma, 2009 http://www.osservatorionuovedestre.net/ https://www.istat.it/it/files/2017/06/bilanciodemografico-2016_13giugno2017.pdf http://www.ilpost.it/2017/07/17/giovani-italia/ www.sidief.it/download/upload/937e26b0b37eb2132f3818e614b48683458d4e47.pdf ricerca-censis-nomisma-i-giovani-e-la-casa.pdf http://www.famigliacristiana.it/articolo/migrantes-espatriati-giovani.aspx
L’Unione Europea e il Sistema di Dublino (Edoardo Fabrizi) Perché non si vuole sviluppare una vera e propria politica europea dell’accoglienza dei rifugiati? Per lo stesso motivo per cui negli anni ’50 si dovette rinunciare al progetto della CED (Comunità Europea di Difesa): le gelosie e gli interessi nazionali convivono e sopravanzano gli interessi comunitari. Quindi il problema diventa come evitare l’ingerenza troppo forte dell’Unione nelle faccende politiche interne. D’altra parte quello dell’immigrazione e dell’asilo è sempre stato un territorio di caccia dei governi nazionali, perché è un terreno di scontro elettorale e quindi un potentissimo strumento di creazione di consenso: appaltarne l’intera regolamentazione alle istituzioni europee, significherebbe per molte forze politiche perdere un collettore di voti. Ma è anche vero che una soluzione del problema degli ingressi di rifugiati è possibile solo a livello europeo attraverso il superamento definitivo della stratificazione del Sistema di Dublino, che ha finito per favorire enormemente gli Stati interni dell’Unione (da sottolineare tuttavia, che la Germania ha spontaneamente deciso di accogliere quasi 500 mila rifugiati siriani tra il 2015 e il 2016). L’unica via percorribile per un’accoglienza europea dignitosa e per la reale edificazione di “uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia” è il passaggio da un sistema per la determinazione dello Stato competente all’esame della domanda d’asilo ad un Sistema europeo dell’asilo. L’istituzione di un “Sistema europeo d’asilo” sarebbe un passo fondamentale verso l’integrazione politica degli Stati membri, oltre che un salto di qualità nella gestione del fenomeno dei rifugiati. Infatti una redistribuzione in base a quote di rifugiati (cercando per quanto possibile di tenere conto della volontà del richiedente asilo) permetterebbe una gestione ragionata e diffusa del fenomeno. (vedi documento completo) Fonti normative: http://www.camera.it/_bicamerali/schengen/fonti/convdubl.htm (Conv. Dublino, 1990) http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32003R0343&from=it (Dublino II) http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2013:180:0031:0059:IT:PDF (Dublino III) https://europa.eu/european-union/sites/europaeu/files/docs/body/treaty_of_amsterdam_it.pdf (Trattato di Amsterdam)
La mancanza di politiche di accoglienza (Siem Huijskes) Nel 2015, gli Stati membri dell’Unione europea hanno accettato di depositare 1,8 miliardi di euro in uno speciale fondo di investimento per l’Africa, istituito con l’intenzione di tenere i migranti fuori dalla fortezza Europa. Due anni dopo (novembre 2017) nel fondo ci sono solo 175 milioni di euro , meno del dieci percento. I campi profughi soffrono per mancanza di fondi in tutti i Paesi del sud del mondo. Questa mancanza di solidarietà mostra la miopia della politica di immigrazione europea: che è volta principalmente a fermare i migranti e i rifugiati. Recentemente c’è stato un quinto summit dell’Unione europea e dell’Unione africana ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Un summit necessario perché sotto la pressione dei partiti anti-immigrazione, anche i partiti di centro e di sinistra di sentono costretti a limitare l’immigrazione. Se non ci riescono, rischiano di perdere il loro potere. Ecco quindi che la Merkel e il presidente francese Macron pensano di sviluppare l’Africa con una sorta di piano Marshall: più denaro per sviluppo, investimenti, sicurezza e quindi stabilità. Ma questo non potrà bastare. (...) Il flusso di migranti illegali attraverso il Mediterraneo può essere fermato solo se si riesce a strutturare una politica realistica che conmbini migrazione e sviluppo. Significa da una parte garantire modalità legali per raggiungere l’Europa per studiare o lavorare, in modo che le persone non debbano più pagare i trafficanti. Dall’altra, garantire ai Paesi più poveri sicurezza ed equo sviluppo economico, in modo che le prossime generazioni non debbano più emigrare. Il cambiamento climatico può rendere questa situazione ancora peggiore, soprattutto per gli africani. Secondo l’Environmental Justice Foundation (EJF), decine di milioni di persone saranno costrette a lasciare le loro case nel prossimo decennio, e quindi la crisi dei rifugiati continuerà a peggiorare. Di fronte a questo scenario negativo, avere una politica europea comune in materia di asilo, che sia insieme funzionale e realistica, è assolutamente necessario. (Vedi il documento completo) Fonti: Centro Studi e Ricerche IDOS e Centro Studi Confronti, Dossier Statistico Immigrazione 2017, IDOS Edizioni, Roma, ottobre 2017. European Stability Iniative (ESI). Kingsley, Patrick, The New Odyssey: The Story of the Twenty-First Century Refugee Crisis, Faber & Faber, Incorporated 2016. International Organization for Migration (IOM), The UN Migration Agency http://solidair.org/artikels/operaties-vergeleken-mare-nostrum-vs-triton https://www.iom.int/news/mediterranean-migrant-arrivals-reach-158935-2017-deaths-reach- http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2017/608779/EPRS_BRI(2017)608779_EN.pdf https://www.internazionale.it/reportage/alessandro-leogrande/2017/11/27/norvegia-migranti
Questi i materiali consultati dal Gruppo: - Dossier Statistico Immigrazione 2017: Cap.1: Il contesto internazionale ed europeo. - Libro: The Politics of Migration and Inmigration in Europe. By Andrew Geddes, Peter Scholten - Film: Fuocoammare https://www.youtube.com/watch?v=lvy2rOXWlZE - European Neighbourhood policy https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/330/european-neighbourhood-policy-enp_en - Agenda Europea: attuazione dell'agenda europea sulla migrazione https://www.internazionale.it/notizie/2017/01/26/migranti-piano-unione-europea - Migrants Compact: i soldi per i Paesi aricani, il ritorno ei migranti http://refugeesmigrants.un.org/migration-compact http://refugeesmigrants.un.org/refugees-compact http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2017/608779/EPRS_BRI(2017)608779_EN.pdf - Accordo Europa-Turchia Francois Crépeau, ‘diritti umani dei migranti’: “Presentare la situazione attuale come una crisi umanitaria dimostra solo miopia. La vera crisi in Europa risiede nella mancanza di volontà politica, che deriva dalla mancanza di una visione comune su come la migrazione e la mobilità delle persone siano parte del presente e del futuro”. https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/03/17/europa-turchia-migranti-accordo - Materiale introduttivo: http://www.cr.piemonte.it/dwd/organismi/cons_euro/schede_UE/29_immigradef.pdf http://www.europarl.europa.eu/atyourservice/it/displayFtu.html?ftuId=FTU_5.12.3.html
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