Ragazzo del Bangladesh

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI

Corso di Laurea magistrale in Storia e società

 

Le Comunità straniere tra inserimento e esclusione

 

In Italia i cittadini stranieri sono 5.014.437 e provengono da 196 paesi. I cittadini romeni sono 1.131.839 e rappresentano la principale comunità straniera presente nel nostro paese. Questi alcuni dati che emergono dal rapporto Istat del 1 gennaio 2015.

La maggior parte degli stranieri censiti ha un’età compresa tra i 20 e i 39 anni (42,7%). Oltre il 70% dei cittadini africani ha un’età inferiore ai 40 anni; in particolare

i cittadini nordafricani sono gli stranieri più giovani e con la quota più elevata di minori (quasi il 32%).

Il 47,6% degli stranieri censiti non è sposato, mentre i coniugati rappresentano il 45%. I divorziati ammontano al 3,6% del totale mentre i vedovi sono il 2,7%.

I cittadini stranieri sono 5.014.437 e provengono da 196 paesi, oltre la metà di essi proviene però da soli 5 paesi. Al primo posto fra le comunità di stranieri in Italia

ci sono i cittadini rumeni, con oltre 1,130.000 mila censiti, seguiti dai cittadini albanesi (490mila), marocchini (450mila), cinesi (266mila) e ucraini (226mila).

Per ciò che riguarda la composizione per genere, i paesi per i quali si registra una prevalenza femminile sono: Ucraina (79,5%), Polonia (73,9%), e Moldavia (66,6%). Invece, una forte prevalenza maschile si registra soprattutto tra i cittadini stranieri provenienti da: Senegal (73,1%), Bangladesh (66,9%), Egitto (64,8%) e Pakistan (62,5%).

Le collettività che hanno registrato gli incrementi più significativi sono la Romania, che passa dai 74.885 censiti nel 2001 agli 1.131.839 nel 2015, e l’Albania, il

Marocco e la Cina che aumentano di oltre 800mila unità. Gli incrementi più consistenti sono però stati registrati dalla Moldova, che da 4 mila stranieri censiti nel

2001 passa agli oltre 147 mila del 2015, e dall'Ucraina, che dagli 8.647 residenti del 2001 raggiunge oggi 226mila residenti.

Gli stranieri residenti in Italia sono cittadini di un Paese europeo per oltre il 50% (oltre 2,6 milioni di individui), di un Paese dell’Unione per poco meno del 30%

(1,5 milioni). La restante parte proviene dagli Stati dell’Europa centro orientale non appartenenti all’Ue (1,1 milioni). Gli Stati africani sono rappresentati per un

ulteriore 20%, prevalentemente da cittadini di Paesi dell’Africa settentrionale (13,5%) e occidentale (5,7%). Più o meno la stessa quota sul totale (20%) spetta ai

cittadini dei paesi asiatici: si tratta per entrambi i continenti di circa 1 milione di persone. Il continente americano conta meno di 400 mila residenti in Italia (7,7%),

quasi tutti cittadini di Paesi dell’America centro meridionale (7,4%).

Gli stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana tra il 2001 e il 2011 sono 671 mila, registrando un incremento rispetto al precedente censimento di 285.782 unità.

 

PAESI DI PROVENIENZA DELLE PRINCIPALI COMUNITA'

 

RAPPORTI MINISTERIALI SULLE COMUNITA' STRANIERE

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali predispone Rapporti annuali sulle principali comunità straniere presenti in Italia.

I Rapporti relativi al 2013,  disponibili anche in versione "sintetica", sono di seguito consultabili:


"La Comunità albanese in Italia"       Rapporto - Sintesi - versione Inglese 

"La Comunità bengalese in Italia"     Rapporto - Sintesi - versione Inglese 

"La Comunità cinese in Italia"           Rapporto - Sintesi - versione Inglese
"La Comunità ecuadoriana in Italia"  Rapporto - Sintesi - versione Spagnola
 "La Comunità egiziana in Italia"       Rapporto - Sintesi - versione Inglese
"La Comunità filippina in Italia"        Rapporto - Sintesi versione Inglese
"La Comunità indiana in Italia"         Rapporto - Sintesi - versione Inglese
"La Comunità marocchina in Italia"  Rapporto Sintesi - versione Francese 

"La Comunità moldava in Italia"       Rapporto - Sintesi - versione Inglese

 "La Comunità pakistana in Italia"    Rapporto - Sintesi - versione Inglese
"La Comunità peruviana in Italia"     Rapporto - Sintesi - versione spagnola 

"La Comunità senegalese in Italia"   Rapporto - Sintesi - versione francese

"La Comunità serba in Italia"            Rapporto Sintesi -versione Inglese
"La Comunità sri-lankese in Italia"   Rapporto - Sintesi - versione Inglese  

"La Comunità tunisina in Italia"        Rapporto - Sintesi - versione Francese 

"La Comunità ucraina in Italia"         Rapporto - Sintesi - versione Inglese 

Sempre in tema di lavoro, può essere interessante consultare il recente Rappoto Idos su Immigrazione e imprenditoria (2015).

 

L'INTEGRAZIONE POSSIBILE

Immaginate...

La società multiculturale non ha sede nelle accademie, negli istituti di ricerca, nei salotti degli intellettuali; la società multiculturale nasce dal basso: prende

corpo quotidianamente, sotto i nostri occhi spesso distratti, nei luoghi privi di identità dove transita la folla metropolitana – ipermercati, stazioni, sottopassaggi,

antiche piazze che hanno riconvertito la loro destinazione d’uso; nei territori più emarginati della nostra economia sociale, nelle periferie, nell’underground del

lavoro informale, nel contatto con gli strati più deboli, meno garantiti, spesso meno colti della nostra società.

E’ lì che ha luogo l’incontro, e talora – comprensibilmente, visto il disagio che li accomuna – lo scontro tra vecchi e nuovi cittadini. La colf peruviana chiacchiera

con il portiere del condominio, il lavapiatti egiziano litiga con il cameriere della pizzeria; il musicista di strada diventa il confidente della vecchietta che passa ogni mattina nei corridoi della metropolitana.
E poi ci sono anche altri luoghi – i “luoghi cerniera” che individuava Laura Balbo, studiando accoglienza e rifiuto dello straniero – dove l’incontro propone già

stimoli culturalmente più evidenti, e ugualmente significativi: la scuola, innanzi tutto, con percentuali sempre più alte di bambini “esteri”, e sempre più frequenti interventi interculturali; i servizi sociali, che cominciano ad attrezzarsi, individuando nuovi ruoli di mediazione culturale verso l’utenza immigrata; alcuni luoghi

di lavoro, dove la sindacalizzazione gioca una funzione non secondaria, fornendo un linguaggio comune di diritti e rivendicazioni. E infine, ma non meno importanti,

i luoghi di culto, le occasioni festive e conviviali, le manifestazioni culturali e artistiche.
In questo processo di maturazione in senso multiculturale è essenziale fornire condizioni e strumenti di conservazione delle identità; promuovere la valorizzazione

dei diversi patrimoni culturali, indispensabili per compensare lo sradicamento e gli aspetti più traumatici dell’emigrazione; offrire, sostenendo gli artisti e gli

uomini di cultura e le espressioni letterarie o artistiche dei nuovi cittadini, aperture sui costumi, i sapori, i colori, i suoni, le immagini delle culture di provenienza

delle comunità immigrate..


Non è solo “colore”, e nemmeno soltanto mercato, una nuova occasione di consumo. E’ una penetrazione nel tessuto cittadino – nelle grandi e nelle piccole città,

dove la presenza straniera anche se meno numerosa non è meno significativa – che lo modifica gradualmente in direzione di una pluralità che ci sprovincializza, avvicinandoci alle società europee più mature. Il timore di una perdita di coesione culturale non ha fondamento: sia perché a certi livelli è soltanto un mito, cui corrisponde, nella realtà, una storia di incontri, scontri e contaminazioni profonde; sia perché la prospettiva più realistica – e stimolante – è quella della costruzione

di una cittadinanza basata sul consenso e la partecipazione, non sull’esclusione. Quella che abbiamo all’orizzonte è una cultura comune, frutto di un cammino da percorrere insieme.

Provate a immaginare un paese dove il mercato del lavoro è così dinamico e aperto che gli immigrati, che costituiscono circa il quattro per cento della forza lavoro, coprono il dieci per cento delle nuove assunzioni; e con i loro contributi allo Stato, i contributi regolari di quasi un milione e mezzo di persone attive nei servizi, nell’edilizia, nei trasporti, nelle industrie meccaniche, nel tessile, nelle manifatture, danno un sostegno indispensabile alle pensioni di tutti i cittadini.
Un paese, pensate, dove il valore dei diritti e il senso della rappresentanza e della democrazia sono così sentiti, che oltre la metà dei lavoratori stranieri sono

iscritti al sindacato; dove lo spazio e lo spirito di iniziativa sono così diffusi, che ci sono oltre centomila immigrati titolari di imprese. Un paese dove, nonostante

la novità, l’impatto e le diffidenze dovute alla diversità di lingua, pelle, religione e cultura, i matrimoni misti crescono continuamente, e oltre diecimila nuove coppie uniscono ogni anno uomini e donne di diversa provenienza ed origine. Un paese, insomma, dove - nonostante la presenza di molti timori e qualche tensione - la formazione di nuove famiglie miste, i ricongiungimenti con le famiglie del paese d’origine, la nascita e la scolarizzazione di tanti bambini, la regolarizzazione nel

lavoro, la partecipazione alle forme di rappresentanza sindacale e politica, la creazione di nuove imprese, il contributo all’incremento demografico e alle spese previdenziali, il supporto in tutti i principali settori dell’economia, compresi settori delicati come la sanità o i servizi alle persone, forniscono un quadro positivo

e rassicurante.


Quel paese esiste, e si chiama Italia. L’Italia che emerge dalle statistiche, dai numeri e dai dati, ma anche dalle ricerche, dalle esperienze e dalle testimonianze:

un paese che si sta avviando – se non interverranno misure contraddittorie ad ostacolarne il cammino, se non prevarranno i pregiudizi e le paure – a forme di

convivenza ragionevoli e rispettose delle molteplici identità di una società sempre più multietnica.

   

        Dipartimento di 

         studi umanistici

 

  

            Cooperazione

Università Roma Tre

  

 

 

 

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