Gruppo di lavoro
Permessi
Immigrazione cinese negli anni Trenta
Emigrati in Germania
Lo sbarco degli albanesi
Seconde generazioni
Centro di accoglienza
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POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI Corso di Laurea magistrale in Storia e società 2020/2021
Laboratorio: temi e gruppi di lavoro
Il Corso prevede un Laboratorio di analisi (14 ore) sui temi proposti a lezione: gli studenti, organizzati in diversi Gruppi di lavoro, analizzeranno - anche con l'aiuto di rassegne stampa, video e siti web - i temi della società multiculturale, dell'identità migrante, delle fake news e dei pregiudizi che ne deformano l'immagine presso l'opinione pubblica; ma anche delle controverse politiche italiane ed europee, nel drammatico quadro geo-politico degli ultimi anni.
Gruppi di lavoro:
Gruppo 1: Analisi della legislazione italiana
Gruppo 3: Analisi del ruolo dei media
Gruppo 4: Analisi della politica italiana Gruppo Gruppo 5: Analisi della politica per l'immigrazione in Europa
Gruppo 1: Analisi della legislazione italiana
Damiano Moschetta moschettadamiano@gmail.com Matteo Ziantona matziant@gmail.com Sergio Castaldi sergio.il.romanista@alice.it Nicola Pedde nic.pedde@stud.uniroma3.it Emiliano La Rocca emi.larocca@stud.uniroma3.it
Il Gruppo ha cominciato a raccogliere documentazione sulla legislazione sulla immigrazione in Italia.
Leggi
Decreti Sicurezza
https://www.camera.it/parlam/leggi/08125l.htm?ID_ITEMS=16141#:~:text=Il%20Sindaco%20segnala%20alle%20competenti,allontanamento%20da l%20territorio%20dello%20Stato. https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2009/07/24/009G0096/sg https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/09/15/15G00158/sg https://www.interno.gov.it/it/notizie/e-legge-decreto-minniti-sul-contrasto-allimmigrazione-illegale https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/04/18/17G00059/ https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2018-10-04;113!vig= https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2020-09-30&atto.codiceRedazionale
Legislazione sulla regolarizzazione dello straniero sul territorio nazionale (1931-2002)
https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1990-02-28&atto.codiceRedazionale=090G0075&atto.articolo.numero= 0&qId=51b93876-93a9-4daa-ba67-93fe321d2410&tabID=0.3216891723225801&title=lbl.dettaglioAtto https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1993-08-12&atto.codiceRedazionale=093G0377&atto.articolo.numero= 0&qId=d206a6ec-e54e-4b7a-8cca-15927a9a3d71&tabID=0.3216891723225801&title=lbl.dettaglioAtto Articolo che analizza brevemente la legislazione nazionale sull'immigrazione: http://gnosis.aisi.gov.it/sito/Rivista4.nsf/ServNavig/2
Dal periodo liberale al fascismo Durante il periodo liberale, l'Italia ospita un numero irrisorio di stranieri, pari solo allo 0,2- 0,4% della popolazione totale. Si stima infatti che prima dello scoppio della Grande Guerra il numero si aggiri attorno alle 60.000 unità che raggiungono le 110.440 con il censimento del 1921, concentrate perlopiù nel Nord della penisola, principalmente in Veneto, Lombardia e Piemonte. Questo comporta che non vengono elaborate delle vere e proprie politiche sull'immigrazione e gli stranieri vengono sottoposti a forme di controllo blande e a norme limitate e poco applicate. L'accesso viene negato a chi non possiede dei documenti validi o a chi non ha i mezzi di sussistenza, mentre l'espulsione è prevista per i condannati e per chi ha creato problemi di ordine pubblico. Solamente col consolidamento del regime fascista, tra la fine degli anni venti e l'inizio degli anni trenta, la situazione comincia a cambiare. Già nel 1926 vengono istituiti gli Uffici provinciali della polizia politica, addetti al controllo degli stranieri e in seguito l'Ufficio Centrale dove vengono registrati. I controlli si fanno più rigidi e vengono razionalizzati attraverso la creazione del visto d'ingresso, l'obbligo di notifica di arrivo e domiciliazione e il permesso di soggiorno. Legge del 18 giugno 1931 n.773 Sebbene la legge n.773 del 18 giugno 1931 costituisca il nucleo normativo su cui si fonda il diritto di polizia e stabilisca delle norme in materia di pubblica sicurezza, costituendo tuttora un modello di riferimento, è interessante notare l'esistenza di un Titolo (Titolo V) che regoli l'accesso e l'espulsione degli stranieri dai confini del Regno. Il Capo I a cui fanno riferimento gli artt. dal 142 al 149 sono relativi al soggiorno dello straniero su territorio nazionale, mentre il Capo II a cui fanno riferimento gli artt. dal 150 al 152 sono relativi all'espulsione dello straniero dai confini del Regno. In conformità con questi articoli lo straniero è in primo luogo obbligato a presentarsi, entro tre giorni dal suo arrivo, presso le autorità di pubblica sicurezza, sia per dare contezza di sé attraverso l'esibizione di un documento valido sia per dichiarare le ragioni del suo soggiorno (art. 142-144). Nel caso specifico in cui si tratti di stranieri di passaggio, questi ultimi devono solo dichiarare il loro ingresso nel paese se il periodo di permanenza sarà inferiore ai due mesi (art. 142). Inoltre viene normato anche il trasferimento di domicilio da un comune all'altro da parte di stranieri, i quali dovranno seguire la procedura qui sopra descritta. In caso di permanenza su suolo regio, qualora uno straniero venisse assunto per lavorare presso un esercizio pubblico, il suo datore di lavoro dovrebbe, entro cinque giorni dall'assunzione, informare le autorità di pubblica sicurezza del nuovo rapporto di dipendenza, dichiarando il tipo di attività che il neo-assunto dovrebbe svolgere. Nel caso in cui il rapporto di dipendenza lavorativa dovesse cessare, sempre il datore di lavoro dovrebbe comunicare, entro ventiquattro ore, la cessazione del suddetto rapporto, alle autorità competenti (art. 145). Deve essere inoltre comunicato il luogo in cui lo straniero si è diretto. La cessione di beni e proprietà a uno straniero è soggetta a norme e deve realizzarsi attraverso un avviso per iscritto alle autorità di pubblica sicurezza locali, che dovranno avere le generalità dello straniero e conoscere i contenuti degli atti di cessione, entro dieci giorni dall'avvenuto passaggio di proprietà (art.147). Gli stranieri in aggiunta non possono risiedere nei Comuni che interessano la difesa militare dello stato, secondo anche quanto stabilito dalle leggi militari. Coloro che trasgrediscono verranno allontanati dalla forza pubblica (art. 149). Nell'eventualità in cui lo straniero non possa dare contezza di sé, potrà essere respinto alla frontiera mediante un foglio di via obbligatorio, di cui dovrà seguire pedissequamente l'itinerario, pena la reclusione da uno a sei mesi (art. 152). Se lo straniero è condannato per omicidio verrà immediatamente espulso e accompagnato alla frontiera e ugualmente stranieri di passaggio o residenti, per ragioni di ordine pubblico disposte dal Ministro dell'Interno (art.150). Infine se lo straniero espulso tenta di rientrare, senza l'autorizzazione del Ministero dell'Interno, verrà punito con l'arresto dai due ai sei mesi, al termine dei quali sarà nuovamente espulso.
https://tesi.luiss.it/18071/1/182051_COVA%20MINOTTI_EDOARDO%20GU.pdf
Dal fascismo alla guerra Nonostante siano passati pochi anni dalla legge del 1931, che già introduceva una maggiore controllo nella gestione dei flussi migratori(sebbene ancora di pochissimo conto) diretti verso l'Italia, il varo delle leggi contro il "meticciato" del 1936 e le leggi razziali del 1938 portano a una nuova stretta dei controlli sugli stranieri. Negli anni successivi gli ebrei stranieri vennero espulsi dal Regno mentre gli ebrei italiani esclusi dalla vita economica del paese, sottoposta a un processo di "arianizzazione". Inoltre con il cambio di fronte dell'Italia in seguito all'armistizio dell'8 settembre 1943 e la nascita della R.S.I. nel Nord Italia, i collaborazionisti cominciarono a consegnare alle autorità tedesche sia ebrei che stranieri. Alla fine della guerra, i risultati di queste operazioni si evincono da sé: il numero di immigrati presenti sul territorio italiano è pressoché dimezzato ( l'anagrafe nel 1951 ne registra solamente 47.177, rispetto ai 110.440 del 1921) e si concentrano principalmente tra la Lombardia e il Lazio, con una minoranza (circa 8,40%) distribuita tra le aree del Sud e le Isole. Analisi legge del 6 maggio 1940 n.635 La legge del 6 maggio 1940 n.635, finalizzata all'approvazione del testo unico di leggi in materia di pubblica sicurezza, presenta della variazioni al testo normativo rispetto alla legge n.773 del 18 giugno 1931. Nello specifico le modifiche al Titolo V della legge, sul soggiorno dello straniero nei territori del Regno, prevedono delle nuove modalità d'accesso, oltre a quelle di cui è fatta parola all'articolo n.142. Nell'articolo n.261 viene enunciato che lo straniero deve dare le proprie generalità e quelle del suo congiunto, nel caso non avesse più di sedici anni, notificare il suo ingresso, dichiarare lo scopo del suo soggiorno, il tempo per cui si tratterrà, notificare il suo domicilio e in aggiunta rendere nota la sua provenienza e nazionalità ma anche razza e religione. Infine dovrà dichiarare se possiede qualche proprietà nei confini del Regno e se esercita qualche professione oppure quale professione intenderà esercitare. Una volta accertata l'identità del dichiarante, a testimonianza dell'adempimento dei suoi obblighi, gli verrà rilasciata una ricevuta, il cui duplicato andrà alla Questura, e che dovrà esibire agli ufficiali di sicurezza qualora venisse richiesto (art.262). Qualora straniero alloggiasse in una struttura appositamente adibita a dare alloggio per mercede, per mezzo dell'esercente, potrà consegnare all'autorità pubblica la dichiarazione presente nella ricevuta e i documenti d'identificazione (art. 263). Chiunque presieda a istituti d'educazione, istruzione e cura o che sia a capo di qualsiasi comunità civile e religiosa dovrà consegnare, all'autorità locale di pubblica sicurezza, entro tre giorni dall'arrivo dello straniero, le dichiarazioni degli stranieri che intendono giovarsi dei servizi erogati dalle strutture appena elencate. Inoltre, qualora uno straniero abbandonasse una di queste comunità o istituti, dovrà essere comunicato alle autorità competenti, entro il termine di un giorno, il luogo verso dove si è diretto (art.264). Rispetto all'espulsione degli stranieri dal territorio nazionale le variazioni sono minime. Nell'articolo 267 viene dichiarato che al momento della liberazione di uno straniero condannato o che abbia contravvenuto alle norme sul soggiorno, il Prefetto della provincia dovrà richiedere l'autorizzazione dell'espulsione al Ministero dell'Interno. Nel caso in cui il Prefetto non ritenga opportuno l'allontanamento dello straniero o nel caso in cui lo straniero, per motivi politici, per diserzione o per reati gravi sia stato costretto all'estradizione dal suo paese, dovrà essere reso noto al Ministero dell'Interno. Qualora occoresse far rimpatriare uno straniero, per cui non si hanno gli estremi dell'espulsione, il Prefetto dovrà comunicarlo al console, e nel caso in cui il paese di provenienza fosse limitrofo, lo straniero verrà munito del foglio di via e rimpatriato, dopo averlo riferito al Ministero dell'Interno (art.269). In caso di arresto di uno straniero, le autorità di pubblica sicurezza dovranno comunicarlo al Prefetto della provincia il quale lo riferirà al Ministero dell'Interno. Quindi lo straniero verrà sottoposto a rilievi segnaletici e a un interrogatorio per stabilire da dove provenga e le ragioni del suo espatrio. Infine saranno le autorità di pubblica sicurezza, dopo un'attenta valutazione, a ordinare il rilascio a determinate condizioni o meno (art.270). Inoltre verranno espulsi o sarà negato l'accesso a tutti gli stranieri che pratichino il meretricio o lavori che dissimulino l'ozio quali il vangabondaggio (art.271). https://www.treccani.it/enciclopedia/le-politiche-di-immigrazione-in-italia-dall-unita-a-oggi_%28Dizionario-di-Storia%29/ https://tesi.luiss.it/18071/1/182051_COVA%20MINOTTI_EDOARDO%20GU.pdf https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1940-06- lll Il dopoguerra Nel secondo dopoguerra, le normative sull'immigrazione rimangono pressocché invariate. All'interno della nuova costituzione repubblicana, varata all'inizio del 1948, vengono introdotti i principi su cui si fondano i diritti umani, disciplinati da norme e trattati internazionali, ma l'accesso al paese viene ancora regolato dalla legge del 1931 e inoltre non esiste una legislazione ordinata sul tema. L'Italia di fatto è un paese di emigrazione, con circa 300.000 partenze annue, ancora all'inizio degli anni sessanta. Il fenomeno dell'immigrazione comincia ad assumere un certo rilievo solamente con il boom economico di fine anni sessanta. Il miraggio di un redditto più elevato e la comparsa delle cosidette "professioni rifiutate"(minatore, bracciante agricolo, colf) favorisce l'arrivo di un gran numero di lavoratori stranieri che cominciano a stabilirsi nel paese. Si stima che nel quindicennio che va dal 1970 al 1985 la presenza di stranieri aumenti del 187,80% e i numeri, se ci rifacciamo al censimento del 1951, sembrano confermarlo (se nel 1951 erano presenti in Italia 47.177 stranieri, nel 1970 si arriva a 146.989 e nel 1985 a 423.004). Nonostante il numero di immigrati cresca rapidamente, il fenomeno non viene percepito fino alla fine degli anni settanta e ancora per diversi anni (dobbiamo aspettare il 1986) non viene emanata alcuna legge, limitandosi solo ad intervenire con sanatorie, la prima delle quali risale al 1977, e provvidimenti sporadici privi di qualsiasi organicità. La chiusura generalizzata del 1982 che interessa non solo l'Italia ma anche l'Europa, la disoccupazione crescente e la pessima gestione degli ingressi nel paese incrementa il numero di irregolari, assotigliati solo dalle regolarizzazioni che vengono effetuate ogni quattro anni. Si tenta di porre rimedio a questa situazione con la cosidetta "Legge Foschi" del 30 dicembre 1986, la quale sancisce in primo luogo la parità di diritti tra i lavoratori stranieri e italiani, stabilisce la creazione di Commissariati regionali che si occupino del collocamento, introduce l'idea di un inserimento occupazionale dall'estero in mancanza di disponibilità nel paese, favorisce il ricongiungimento familiare, istituisce un fondo per i rimpatri e tenta di contrastare l'immigrazione clandestina. La legge però rimane largamente inattuata: la lentezza delle Amministrazioni pubbliche nell'adattarsi alla nuova normativa, la mancata istituzione di organi appositi da parte del Ministero del Lavoro, degli Esteri e le Regioni, l'eccessiva complessità dei meccanismi che regolano l'ingresso per lavoro e l'assenza di fondi per i rimpatri evidenziano i limiti di questo provvedimento. Si deve comunque segnalare che nel giro di due anni dall'emanazione della Legge, ben 100.000 immigrati diventeranno regolari. Nel complesso, si può dire che il fenomeno della clandestinità non viene arginato e alla sua crescita si somma un odio razziale e una xenofobia sempre più marcata. https://tesi.luiss.it/18071/1/182051_COVA%20MINOTTI_EDOARDO%20GU.pdf https://tesi.luiss.it/18071/1/182051_COVA%20MINOTTI_EDOARDO%20GU.pdf Analisi legge 30 dicembre 1986 La legge del 30 dicembre 1986 è il primo testo normativo che tenta di riorganizzare la legislazione sull'immigrazione straniera, adeguandola ai fenomeni migratori che investono l'Italia a partire dagli anni settanta. Il testo è suddiviso in quattro Titoli a cui fanno capo diciannove articoli: il Titolo I, composto da quattro articoli, si occupa dei diritti del lavoratore straniero; il Titolo II, composto di soli tre articoli, istituisce un programma di collocamento per i lavoratori subordinati extracomunitari; il Titolo III, composto da ben otto articoli, stabilisce le procedure che regolano l'accesso all'occupazione; il Titolo IV infine, composto da quattro articoli, si occupa delle situazioni pregresse e della copertura finanziaria. Titolo I Particolarmente rilevante è l'art.1 in cui si garantisce, a tutti gli stranieri legalmente residenti su suolo italiano, parità di trattamento e la godibilità degli stessi diritti dei lavoratori italiani, il mantenimento dell'identità culturale,l'accesso ai servizi sociali e sanitari, alla scuola e all'abitazione. Al fine di garantire il libero esercizio dei diritti appena proclamati, viene istuita, presso il Ministero del Lavoro e per la previdenza sociale, entro tre mesi dall'entrata in vigore della seguente legge, una Consulta il cui scopo è:
La Consulta, in breve, è composta da sei rappresentanti dei lavoratori extracomunitari, quattro rappresentanti delle confederazioni sindacali nazionali, tre rappresentanti delle organizzazioni sindacali appartenenti ai diversi settori economici, quattro rappresentanti delle autonomie locali, tre rappresentanti delle associazioni che operano nel campo dell'assistenza all'immigrazione e quattro esperti designati dal Mistero dell'Istruzione, degli Interni, degli Affari Esteri e delle Finanze.(Art.2). L'articolo 4 norma il ricongiugimento familiare in base allo Status della famiglia del lavoratore straniero e alle sue condizioni economiche. Titolo II Il Ministero del Lavoro stabilisce le direttive per il collocamento e la mobilità professionale dei lavoratori subordinati extracomunitari, in materia di raccolta e presentazione delle domande dei lavoratori stranieri legalmente residenti in Italia ed eventualmente di quelle provenienti dall'estero, tenendo presente che le prime hanno la precedenza sulle ultime in graduatoria. Inoltre, di concerto con le commissioni regionali, si verifica la disponibilità di lavoro e il suo andamento per censire le offerte di lavoro (Art.5). Qualora non ci fosse disponibilità di manodopera comunitaria verrà chiamata dall'estero.(Art.7) Titolo III L'accettazione dello straniero in Italia, per motivi di lavoro, è condizionata dal rilascio di un visto e dall'autorizzazione di lavoro presso il consolato italiano nel paese di origine o residenza del lavoratore che ne fa richiesta. L'autorizzazione viene rilasciata dagli uffici provinciali e di massima occupazione solo dopo aver verificato l'indisponibilità di manodopera comunitaria e aver sottoposto, previamente, al vaglio le condizioni offerte dal datore di lavoro al lavoratore straniero. L'autorizzazione ha valenza biennale. In caso di rimpatrio il lavoratore straniero continuerà a godere dei diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati al suo arrivo. (Art.8) I lavoratori italiani ed extracomunitari possono richiedere il riconoscimento dei titoli di formazione professionale acquisiti all'estero. Al fine di favorire l'integrazione delle famiglie del lavoratore straniero nella comunità, le regioni promuovono dei corsi di lingua e di cultura italiana. Il Ministero degli Affari Esteri, coadiuvato dal Ministero del Lavoro e della previdenza sociale, può predisporre l'istituzione di corsi finalizzati al reinserimento del lavoratore extracomunitario nel proprio paese d'origine.(Art.9) É possibile, attraverso la stipula di accordi bilaterali, l'utilizzazione di manodopera straniera, con contratto di lavoro subordinato, per la creazione di opere o per servizi limitati nel tempo. Concluso il rapporto di lavoro, i lavoratori dovranno tornare nel paese d'origine. (Art.10) Qualora il lavoratore straniero, prima che siano trascorsi i ventiquattro mesi dal suo arrivo sul suolo italiano, venisse licenziato (sia che si tratti di licenziamento di massa o licenziamento individuale) l'impresa con cui aveva stipulato un contratto di lavoro dovrà comunicarlo, entro cinque giorni, agli uffici provinciali e di massima occupazione, affinché possano ricollocarlo. Il licenziamento di un lavoratore extracomunitario non comporta la perdita del permesso di soggiorno, né per la sua famiglia né per il lavoratore stesso. (Art.11) Chiunque favorisca la transizione di immigrati sprovvisti dell'autorizzazione per fini lavorativi o li assuma in condizioni di illegalità per favorirne lo sfruttamento, viene punito con la reclusione da uno a cinque anni, per ogni lavoratore sfruttato, e con una multa da 2 a 10 milioni di lire. Nel caso in cui un datore di lavoro assuma lavoratori stranieri senza l'autorizzazione, dovrà pagare un'ammenda che parte dalle 500 lire e arriva fino a 2 milioni di lire. In casi particolarmente gravi è prevista la reclusione da 3 mesi fino ad un anno. (Art.12) Viene istituito presso l'INPS un fondo per i rimpatri, al fine di garantire i mezzi economici necessari a tutti i lavoratori stranieri che ne siano privi. (Art.13) Titolo IV Entro tre mesi dall'entrata in vigore della seguente legge, tutti i datori di lavoro che impiegano lavoratori stranieri in condizioni di irregolarità sono tenuti a comunicarlo agli uffici provinciali e di massimo impiego. (Art.16) Gli anni ’90 Decreto Legge del 30 dicembre 1989 n. 416 oooo Il Decreto Legge del 30 dicembre 1989 n. 416, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 67 del 21 marzo 1990, rappresenta l’intervento normativo di generale inquadramento del fenomeno migratorio e della sua gestione da cui promanerà poi la Legge del 28 febbraio 1990 n. 39, conosciuta come Legge Martelli. Legge 28 febbraio 1990, n. 39
La Legge n. 39, detta Legge Martelli, derivante dalla conversione del decreto legge del 30 dicembre 1989 n. 416, venne promulgata sull’onda dell’incremento dei flussi migratori successivi alla caduta del muro di Berlino, nel 1989, per rispondere alle crescenti richieste di un adeguamento normativo atto a fronteggiare un fenomeno sino ad allora considerato sostanzialmente marginale nel nostro paese. L’adeguamento normativo, in particolar modo, era dettato dall’esigenza di creare un quadro organico di riferimento per la gestione dell’insieme delle fattispecie connesse al fenomeno dei flussi migratori, includendo per la prima volta il criterio della programmazione degli ingressi e la modalità di gestione dei permessi di soggiorno, stabilendo un più adeguato status per la figura dei rifugiati, determinando i criteri di gestione frontaliera degli ingressi da parte degli organi della Pubblica Sicurezza. (vedi Documenti completi) Negli anni ’90 l’Italia viveva ancora una situazione d’immaturità davanti il fenomeno dell’immigrazione il censimento del 1991 calcolava solamente circa 350 mila stranieri residenti nel Belpaese. Si comincia comunque a notare una crescita anche nelle rischiste di permessi di soggiorno che aumentano dagli 82 mila del 1990 ai 135 mila dell’anno seguente. Il 1992 invece è un anno di diminuzione dei permessi, perché molti regolarizzati non riescono a trovare un lavoro, e non sono quindi in grado di attestare il possesso di quel reddito minimo richiesto per poter rinnovare il permesso di soggiorno inizialmente concesso per una durata biennale. Gli anni Novanta hanno visto l’Italia diventare una metà di arrivo dei movimenti di massa. Nei primi anni del decennio si attivò un flusso che interessava soprattutto la popolazione albanese, in quanto nella nazione si stava verificando la dissoluzione del regime comunista. In quegli anni entrava in vigore la legge Martelli, essa venne utilizzata per gestire questi movimenti di massa che contribuiscono ad alzare i riflettori sull’immigrazione. Tra il 1991 e il 1992 si possono delineare due grandi stagioni di arrivo la prima dall’Albania (marzo 1991 e agosto 1991) e la successiva con l’arrivo di profughi provenienti nel 1992 dal conflitto iniziato in Jugoslavia. In Albania si stava verificando la caduta del regime del comunista Enver Hoxha, e i primi a partire furono sicuramente i dissidenti politici ricercati dal regime, come ad esempio testimonia la fuga dei fratelli Popa, che cercarono di scappare dalle persecuzioni rifugiandosi nell’ambasciata italiana di Tirana nel 1985, i sei fratelli riuscirono a raggiungere l’Italia solamente nel 1990. Nell’estate del 1990 circa 5 mila albanesi si riversarono nelle ambasciate di alcuni paesi occidentali reclamando il diritto di emigrare, 800 dei quali chiesero asilo all’ambasciata italiana. Il primo esodo albanese raccontato dai media italiani si verificò a marzo, quando circa 25 mila persone, sfruttando navi mercantili o più disperatamente utilizzando imbarcazioni di fortuna, attraversarono il Mar Adriatico per cercare di trovare una vita migliore nella penisola italiana. I migranti provenivano soprattutto dalle campagne e raggiungessero il porto di Brindisi. Alla presidenza del Consiglio c’era Andreotti che in un primo momento tentennò sul da farsi, prima di intervenire aspettò cinque giorni, e poi decise di aiutare i nuovi arrivati, così alcuni vennero trasferiti in Sicilia, altri in Basilicata, altri ancora in abitazioni private e centri sociali pugliesi. Decisamente più pronta fu la risposta dei brindisini che diedero mostra di grande generosità dispensando alle persone appena arrivate aiuti di ogni genere, alimentari, vestiario e medicinali, cercando di assistere il più possibile donne e bambini. L’amministrazione comunale decise di offrire le scuole come un primo rifugio agli i albanesi. Nei mesi seguenti le azioni del governo furono caratterizzate dall’ambiguità, si offrirono aiuti economici a Tirana per fermare l’esodo in quanto non si decise né l’accoglienza né i rimpatri, e si decise di applicare il divieto di sbarco alle navi cariche di persone, anche le Regioni rifiutano la strada dell’accoglienza in quanto respinsero ogni proposta di redistribuzione dei profughi arrivati in Puglia. Questa linea dura era motivata sulla base della legge Martelli del 1990, che distingueva i rifugiati politici dai semplici migranti “economici”, il governo sotto pressione dall’opinione pubblica decise di considerare gli albanesi come facenti parte della seconda categoria. La situazione precipitò ad agosto, quando circa 20mila albanesi si riunirono a Durazzo, prendendo d’assalto la nave mercantile Vlora, di ritorno da Cuba con un carico di zucchero. Una volta a bordo costrinsero il comandante Halim Milaqi a salpare per l’Italia. Il cargo raggiunse Brindisi il giorno successivo, ma, dopo il divieto di attraccare da parte della prefettura della città, fu costretto a dirigersi verso il porto di Bari. A differenza di quanto accaduto poche settimane prima, il governo si oppose allo sbarco degli albanesi. Anche Andreotti conferma la linea dura annunciando che l’Italia non è assolutamente in grado di accoglierli. Le persone a bordo del Vlora vennero prima sistemate nello stadio della Vittoria di Bari e poi, con la falsa promessa di essere trasferite a Venezia, rimpatriate a Tirana. A Bari gli albanesi non trovarono la solidarietà brindisina che aveva accolto i loro connazionali, ma tutt’altro in quanto rimasero chiusi nello stadio per otto giorni in condizioni disumane, dove le quantità di acqua e di cibo erano minime. Questa situazione provocò molta tensione tra gli albanesi e le autorità italiane e si trasformò spesso in rivolte e tentativi di fuga dallo stadio. L’operazione di rimpatrio fu mastodontica: si utilizzarono undici aerei militari C130 e G222, tre Super80 dell'Alitalia e alcune motonavi della Marina Militare. Alla fine, i rimpatriati furono 17 mila, tra questi c’erano anche immigrati di altri sbarchi. Rimasero in Italia solamente in 1.500, ovvero coloro che erano riusciti a fare domanda di asilo politico. La legislazione italiana si dimostrò rigida sulle proprie idee in quanto la procedura d’asilo prevista dalla legge Martelli mal si adattava al caso degli sfollati, i quali fuggivano da situazioni dove prevaleva la miseria e violenza generalizzata ma raramente sfociava in persecuzioni individuali, il requisito necessario per essere considerato richiedente asilo. Di conseguenza queste persone avevano bisogno di una qualche forma di protezione di carattere straordinario. Misure straordinarie che furono adottate invece nel caso dei profughi che scappavano dalla guerra nei territori della Jugoslavia. Per fronteggiare questa nuova emergenza il governo emanò la legge 24 settembre 1992, n. 390 che prevedeva degli interventi straordinari di carattere umanitario a favore degli sfollati delle Repubbliche sorte nei territori della ex Jugoslavia. A queste persone si concedeva un permesso di soggiorno della durata di un anno, con la possibilità di estenderlo per motivi di lavoro e di studio. La nuova legge finanziava anche interventi in favore di sfollati accolti sul territorio nazionale connessi all’alloggio, all’assistenza igienico-sanitaria e all’assistenza socioeconomica. La legge n.390 mostrò da subito i propri limiti in quanto mancava un sistema di accoglienza centralizzato, per questo solo la minoranza dei nuovi arrivati vennero accolti in strutture adeguate mentre la maggioranza fu abbandonata a interventi spontanei delle zone di arrivo. Il testo completo visualizzato in https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1992/02/15/092G0162/sg Franco Pittau, Luca Di Sciullo, Gli stranieri in Italia: geografia e dinamica degli insediamenti in “Storia d’Italia. Annali 24. Migrazioni”, Einaudi, 2009 Franco Pittau, Antonio Ricci, Giuliana Urso: Gli albanesi in Italia: un caso di best practice di integrazione e sviluppo in “Rev. Inter. Mob. Hum., Brasília” Ano XVII, Nº 33, p. 153-173 https://thevision.com/attualita/albanesi-immigrati/ https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/brindisi-7-marzo-1991-il-primo-sbarco-di-albanesi-puglia-come-terra-promessa-i-brindisini-nel-cuore.html. http://patrimonio.aamod.it/aamod-web/film/detail/IL8000003473/22/sbarchi-degli-albanesi-brindisi-marzo-1991.html?startPage=0&idFondo= https://thesubmarine.it/2017/08/14/migranti-albanesi-26-anni-fa/ https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/08/09/linea-dura-del-governo-non-possono.html?ref=search https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/08/09/la-battaglia-di-bari.html?ref=search https://www.ilmessaggero.it/blog/albanesi_tutti_casa_la_vera_storia_vlora-1371102.html
Legge n.91 del 5 febbraio 1992 La legge italiana n.91 del 5 febbraio 1992 disciplina l’acquisizione della cittadinanza italiana. Tale legge prevede tre tipi di cittadinanza per chi è di origine straniera: la cittadinanza per nascita, per naturalizzazione, per matrimonio. Cittadinanza jure sanguinis: ai sensi di tale legge, l’articolo 1 prevede che si può ottenere la cittadinanza italiana per diritto alla nascita solamente a coloro che hanno almeno un genitore cittadino italiano. Cittadinannza jus soli: Lo straniero nato in Italia può divenire cittadino italiano a condizione che vi abbia risieduto legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età e dichiari, entro un anno dal compimento della maggiore età, di voler acquistare la cittadinanza italiana. Casi residuali in cui si applica lo jus soli, l’ordinamento italiano riconosce la cittadinanza italiana per alcuni casi specifici:
In Italia si afferma quindi il criterio dello jus sanguinis, che fa perno sull’idea che la cittadinanza derivi da una comunità di razza basata sul sangue. Di conseguenza viene abbandonato rapporto tra l’individuo e il territorio che è alla base dello jus soli. Inoltre, in base alla legge n.91 la cittadinanza può venire concessa in seguito ad un matrimonio, in questo caso il richiedente dovrà dimostrare di essere coniugato con cittadino italiano da almeno sei mesi, e che in tale periodo non si avvenuto l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio. Ultimo modello per l’acquisizione della cittadinanza italiana è quello della naturalizzazione, in questo caso il passaporto italiano sarà concesso: a chi risieda in Italia da almeno dieci anni, nel caso sia un cittadino proveniente dalla Comunità Europea il tempo di permanenza in Italia si abbassa a quattro anni. Mentre per gli individui apolidi il soggiorno minimo deve essere di cinque anni. La legge stabilisce anche che può diventare cittadino colui che abbia prestato servizio alle dipendenze dello Stato italiano. Infine, l’articolo 9 della legge prevede la possibilità per lo straniero che acquista la cittadinanza italiana di conservare la propria cittadinanza di origine oppure rinunciarvi. La legge n.91 stabilisce anche dei parametri che precludono l’accesso alla cittadinanza italiana, infatti questa non sarà concessa in modo incondizionato, vengono effettivamente inserite delle clausole che negano la nazionalità ai richiedenti che hanno dei precedenti penali e che questi sono considerati un pericolo per la sicurezza della Repubblica. Non è vero che i genitori stranieri acquisiscono automaticamente la cittadinanza una volta che il figlio l’ha ottenuta, gli adulti resta il requisito di dieci anni di permanenza continuativa (che oggi diventano almeno dodici con i tempi burocratici di attesa), oltre ai succitati requisiti del comma 1 dell’articolo 6 (niente condanne penali né rischi per l’ordine pubblico). La normativa che nasce nel 1992 costituisce un esempio di legge tra le più restrittive tra quelle adottate dai Paesi dell’Unione europea, suddetta legge non fa differenza tra i minori non nati in Italia e gli adulti. Suddetta legge considera i minori nati in Italia da cittadini non italiani come degli stranieri a tutti gli effetti, e di conseguenza risiedono sul suolo italiano con il permesso di soggiorno, solamente dopo aver compiuto i 18 anni possono fare richiesta per diventare cittadini italiani, dimostrare 10 anni di residenza legale ininterrotta, con lavoro o studio regolari, come tutti gli altri stranieri. Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate del 20 dicembre 2017, p. 2-15 Visualizzata in http://documenti.camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/022bis/021/00000001.pdf
Il Governo Dini Nel dicembre del 1994 il celebre tradimento del leghista Bossi nei confronti di Berlusconi, l’allora Presidente del Consiglio, aveva portato l’uscita della Lega Nord dalla maggioranza di governo e la conseguente fine dell’esecutivo. Nel gennaio dell’anno seguente, nasceva il governo guidato da Lamberto Dini, già direttore generale della Banca d’Italia e ministro del Tesoro nella amministrazione precedente. Il governo Dini viene considerato come il primo esecutivo tecnico nella storia italiana, in quanto tra i suoi componenti non risaltavano nomi esponenti politici. Il nuovo governo era sostenuto da una coalizione di centrosinistra, la Lega Nord passava dunque all’opposizione. Tra i ministri, si ricordano i nomi di Susanna Agnelli (Ministro degli Affari Interni), Filippo Mancuso (Ministro di Grazia e Giustizia) e Giovanni Rinaldo Coronas (Ministro dell’Interno). Il 1995 rappresenta un momento decisivo anche per la storia dell’immigrazione del nostro Paese, in quanto il governo Dini elabora due provvedimenti destinati ad avere conseguenze importanti per gli stranieri, poiché in questo anno si era vista ancora una lieve crescita dei soggiornanti stranieri in Italia. I dati stimano che nel ‘95 erano attivi 677 mila permessi di soggiorno, 28mila in più rispetto all’anno precedente. Il primo provvedimento consiste in un decreto-legge che prevede interventi in materia di immigrazione, insieme a una regolarizzazione degli stranieri presenti sul territorio al 18 novembre 1995, purché in grado di dimostrare di essere lavoratori dipendenti o di aver avuto un contratto della durata di almeno quattro mesi. Tale decreto del governo non verrà mai convertito in legge dal Parlamento, nonostante i reiterati tentativi dell’esecutivo, che non trova mai una maggioranza compatta per l’approvazione. La regolarizzazione dei lavoratori stranieri, legata al decreto e non vincolata alla legge, entrerà ugualmente in vigore. Il provvedimento interviene sanando la posizione lavorativa di circa 244.000 persone. La maggior parte delle richieste di regolarizzazione è vincolata al lavoro dipendente: il 73%. Mentre solo il 6% delle domande accettate è legata ai motivi familiari e il 21% alla ricerca di lavoro. Decreto Legge 18 novembre 1995, n. 489 Gli articoli di questa nuova legge proposta dal governo Dini dovevano riformare la precedente legge Martelli. Al contrario della legge Martelli, il decreto Dini non prevede la possibilità di regolarizzarsi attraverso il lavoro autonomo, mentre prevede i motivi legati alla famiglia prima esclusi. La legge Dini n.489 aveva due grandi temi: le espulsioni e la regolarizzazione degli stranieri in Italia. Con tale decreto si stabilivano cinque scenari di espulsione degli immigrati. Il primo caso prevedeva l'espulsione per chi fosse condannato, e successivamente ritenuto dal giudice come soggetto socialmente pericoloso. Il decreto stilava un lungo elenco di reati che avrebbero fatto scattare la procedura di espulsione: si andava dai reati minori, come i furti o lo spaccio di droga, fino ad arrivare a crimini più gravi, come ad esempio l’omicidio, l’associazione mafiosa e il terrorismo. Il secondo scenario delineato dalla legge era l’espulsione come misura di sicurezza, ovvero quando il questore aveva fondati motivi per cui un immigrato era dedito a traffici illeciti. In questo caso l’autorità poteva segnalarlo al Pubblico Ministero che, entro 48 ore, poteva decidere la sua immediata espulsione. Il terzo caso di espulsione era definito come "a richiesta di parte"; ciò vuol dire che uno straniero che veniva arrestato per un reato di media gravità (punibile fino a tre anni di reclusione), come a esempio l’estorsione o lo spaccio di droga, poteva essere espulso solo se la richiesta veniva mossa da lui, dal suo avvocato o dal Pubblico Ministero. Seguiva nell’elenco l’espulsione per motivi di sicurezza: questo era l’unico caso che prevedeva l’accompagnamento alla frontiera dello straniero. Questa sanzione veniva disposta dal Ministro dell’Interno con nullaosta della magistratura. Quinto e ultimo: le espulsioni di quanti sono privi del permesso di soggiorno, i così detti “irregolari”, ovvero coloro entrano nel territorio nazionale riuscendo a eludere i controlli alle frontiere, oppure chi aveva un permesso scaduto da più di trenta giorni o chi non chiedeva il permesso entro gli otto giorni dal suo ingresso regolare. La legge vincolava gli ingressi stabilendo che non era concesso il permesso d’entrata anche a chi era stato condannato nel paese d’origine, questa clausola andava a ledere chi proveniva da Stati dove non era garantito il diritto della difesa in tribunale. A grande spirito di civiltà appare invece improntata la disposizione che stabilisce che lo straniero presente in Italia ha diritto all'assistenza sanitaria, senza riguardo alla condizione di regolarità rispetto al soggiorno e senza che all'erogazione delle prestazioni sanitarie segua la temuta segnalazione agli organi di polizia. Il decreto Dini trattava anche le regolarizzazioni degli stranieri senza documenti, questa misura non prevedeva la regolamentazione di tutti i gli irregolari, ma poteva essere usufruita solamente da alcune categorie: i familiari di immigrati già presenti in Italia, i lavoratori assunti regolarmente da un datore di lavoro, ai quali esso versava anticipatamente una discreta quota di contributi previdenziali. Un ultimo caso dava la possibilità di ottenere il permesso a chi era in grado di attestare lo svolgimento, nel recente passato, di un’attività lavorativa di congrua durata sotto lo stesso datore di lavoro. Il decreto per favorire la regolarizzazione delle colf prevedeva la possibilità di avere più datori di lavoro. In questo caso la lavoratrice riceveva i contribuiti della pensione in modo spezzato, in quanto ogni datore versava la sua quota. Il tentativo del decreto Dini era quello di far emergere le galassie dei lavori non regolarizzati e i lavori stagionali (come ad esempio le raccolte agricole, mestiere sempre più svolto dai migranti). Il decreto puntava così da un lato si alla cancellazione degli illeciti fiscali compiuti sia dall' immigrato che dall' imprenditore, infatti contemplava che chi chiunque impiegava illecitamente manodopera straniera avrebbe rischiato fino a sei anni di reclusione. In aggiunta si considerava di punire le false dichiarazioni con una pena che andava fino a un anno di carcere. Questi articoli si dimostrano da subito come i nodi irrisolti della legge, in quanto il lavoro nero era ed è una consuetudine per la società italiana, conseguentemente affligge anche e specialmente le categorie più svantaggiate come quella degli stranieri. La maggior parte dei datori di lavoro, come i piccoli industriali e gli agricoltori non si dichiaravano troppo disponibili e contenti di sanare le situazioni previdenziali dei lavoratori. Il decreto Dini non è mai stato convertito in legge, in quanto il Governo era tenuto sotto scacco dalla minaccia di Bossi che intimava a non votare la legge finanziaria. Come era prevedibile, il decreto scontentava tutti e, alla fine, sebbene reiterato per ben cinque volte, non fu convertito in legge. L'unico risultato concreto del decreto n. 489 fu la sanatoria, che sebbene inizialmente prevista come più ristretta rispetto a quella varata da Martelli e quindi indirizzata solamente ai lavoratori subordinati, venne in seguito allargata. Alla fine, furono regolarizzati 246000 cittadini stranieri (art. 11 e art. 12). Dopo questa sanatoria la popolazione immigrata regolare in Italia arrivò a sfiorare per la prima volta nella storia del nostro paese il milione. I maggiori beneficiari della sanatoria sono stati i marocchini (34.300 persone), seguiti da albanesi (29.700), cinesi (14.400), peruviani (12.800) e rumeni (11.100) Legge 29 dicembre 1995, n. 563/1995 La cosiddetta "Legge Puglia" decretò l'apertura dei Centri di accoglienza, per gli anni 1995, 1996 e 1997. Queste strutture venivano create lungo la costa pugliese per far fronte alle esigenze di prima accoglienza e soccorso degli stranieri sbarcati sulle coste italiane, inoltre la legge confermava l'uso dell'esercito per il controllo delle frontiere marittime. Il governo definisce i centri di accoglienza come strutture destinate all’accoglienza degli immigrati per il periodo necessario alla definizione dei provvedimenti amministrativi relativi alla posizione degli stessi sul territorio nazionale. L’emanazione di tale legge doveva cercare di contrastare “l'immigrazione clandestina", difatti diede la possibilità ai prefetti delle province della regione Puglia di avvalersi delle forze del corpo militare per lo svolgimento di attività di controllo della frontiera marittima. La volontà del legislatore era creare strutture chiuse, così da limitare gli spostamenti degli stranieri appena arrivati via mare. Si procedette con la creazione di tre centri di accoglienza: i primi due nelle città di Foggia e Bari furono collocati in basi militati dislocate mettendo a disposizione 994 posti il primo e 716 il secondo mentre il terzo centro venne creato a Otranto. Ancora, la normativa risulta del tutto lacunosa con riferimento ai diritti dei migranti presenti nel centro. Basti pensare al fatto che nella quasi totalità delle strutture gli stranieri non sono autorizzati ad uscire durante le ore diurne. Questa situazione potrebbe essere configurata, a tutti gli effetti, come un’ipotesi di limitazione della libertà personale, in assenza della necessaria convalida del giudice. La Puglia fu infatti la prima regione italiana interessata dagli sbarchi e, dunque, diventò il laboratorio delle procedure di accoglienza dei migranti e di controllo delle frontiere che negli anni successivi sarebbero state adottate dal Ministero dell’Interno nelle regioni, soprattutto Calabria e Sicilia, maggiormente interessate dal fenomeno. In conclusione, come emerge dalla bocciatura del decreto Dini e l’emanazione della legge Puglia, si nota come questa fase storica era ancora gestita dal governo italiano con la promulgazione di provvedimenti frammentati, che non riuscivano a far fronte alle veloci trasformazioni in atto, prima tra tutte la necessità di regolare i flussi e i processi di integrazione dei nuovi arrivati. Colucci, Michele. “Per Una Storia Del Governo Dell’Immigrazione Straniera in Italia: Dagli Anni Sessanta Alla Crisi Delle Politiche.” Meridiana, no. 91, 2018. Testo del decreto visualizzato in https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1995/11/18/095G0539/sg https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/11/19/ecco-il-decreto-della-discordia.html?ref=search https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1995-12-30&atto.codiceRedazionale=095A7853 https://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/19/00102_Schema_di_capitolato_di_appalto.pdf
Legge Turco Napolitano (6 marzo 1998 n. 40) Nel 1996 si insedia al governo una coalizione di centro-sinistra guidata da Romano Prodi, l’agenda dell’esecutivo era dettata dall’obiettivo di concludere la transizione dell’Italia nell’Unione Europea, due erano i temi caldi: la libera circolazione delle persone, attuando quanto concordato con il Trattato di Schengen; il secondo punto era costituire l’unione monetaria che avrebbe dovuto portare alla nascita della moneta comune nell’Unione. Il governo Prodi si attivò per aggiornare la legislazione italiana in tema di immigrazione, ponendo così fine ai continui interventi di natura emergenziale, perciò l’esecutivo si mosse per elaborare una riforma organica della politica migratoria nazionale. Il governo decise di creare una Commissione per stilare la nuova legge per le migrazioni, essa fu affidata alla guida di Livia Turco, l’allora ministro della Solidarietà sociale e dell’immigrazione, e di Giorgio Napolitano, il ministro dell’Interno. Il risultato di questa commissione fu un disegno di legge che teneva insieme programmazione dei flussi, percorsi graduali e agevolati di piena cittadinanza per gli immigrati e rafforzamento delle misure di controllo alle frontiere e di espulsione e respingimento degli irregolari. La proposta fu contestata per motivi diversi sia dagli esponenti più radicali del governo, che obiettavano alle misure repressive nei confronti dell’immigrazione. Allo stesso tempo la legge fece protestare anche l’opposizione che preferiva un blocco del fenomeno migratorio. Questo dibattito confermava che l’Italia era divisa in un fronte interno progressista, sensibile alle ragioni dell’accoglienza, e un fronte interno conservatore, più attento alle istanze di sicurezza e controllo. Quindi la legge è stata il frutto del confronto tra questi due schieramenti. Per la storia dell’immigrazione in Italia 1997 è stato l’anno fatidico in cui viene superato il milione di unità, livello sfiorato nell’anno precedente in cui vengono registrati 246.000 regolarizzati. La legge 6 marzo 1998 n. 40 si poneva tre obiettivi principali: quello di disciplinare l’immigrazione e la condizione dello straniero in Italia, istituendo una politica di ingressi legali, limitati e programmati; contrastare l’immigrazione clandestina e lo sfruttamento di essa, infine avviare dei percorsi di integrazione volti a garantire l’inserimento degli stranieri nelle comunità locali. Il Testo Unico era composto da 6 Titoli per un totale di 49 articoli, che cercavano di regolare organicamente l'intera materia dell'immigrazione dall'estero tentando di superare la fase emergenziale che aveva contraddistinto le legislazioni precedenti. La questione centrale della legge era quello di regolamentare l'immigrazione, favorendo l'immigrazione regolare e scoraggiando l'immigrazione clandestina. (vedi Documento completo)
La Legge Bossi Fini La legge n.189 del 30 luglio 2002 fu approvata dal Parlamento italiano durante la XIV Legislatura (col secondo governo Berlusconi). Prese il nome dai primi firmatari, Gianfranco Fini, al tempo leader di Alleanza Nazionale, e Umberto Bossi della Lega Nord, che erano allora vicepresidente del Consiglio dei ministri e ministro per le Riforme istituzionali e la Devoluzione. L’intento della coalizione di centrodestra fu quello di restringere le maglie di un sistema di accoglienza ritenuto eccessivamente blando per chi avesse voluto emigrare in Italia. In particolare furono due episodi drammatici a dare una forte accelerata verso un cambiamento del quadro normativo vigente: il primo episodio riguardò il naufragio di un’imbarcazione di migranti in fuga dall’Africa a largo delle coste di Lampedusa, nel quale persero la vita almeno dodici persone. Il fatto generò forti polemiche, in quanto la responsabilità dell’accaduto venne attribuita da molti alla poca accuratezza e tempestività delle operazioni di salvataggio, in particolare della Marina militare, come testimoniato anche dai membri degli equipaggi sui pescherecci accorsi a dare una mano durante quei momenti disperati. Tra queste polemiche emersero le voci di alcuni esponenti del Governo di centrodestra, tra cui il ministro Gasparri, che dichiarò ai giornalisti: “Con una legge sull’immigrazione più severa, tragedie come questa non accadrebbero. Farebbe ridurre, non dico cessare, questi viaggi della disperazione. Bisogna regolamentare tutta la questione […] Bisogna dissuadere coloro che intraprendono questi viaggi, causa frequente di tragedie che ci commuovono, ma che devono anche indurci a far capire a tutti che non può essere questa disperazione la risoluzione dei temi del rapporto Nord-Sud del pianeta.” Il secondo episodio che diede una decisiva spinta verso una legge di stampo più restrittivo, come quella varata nel luglio di quello stesso anno, fu l’approdo il 18 marzo 2002 di un migliaio di profughi al porto di Catania abbordati in acque internazionali da una motovedetta della Guardia di Finanza e trainati in salvo. Si trattò di curdi in fuga dall’Iraq devastato dalla guerra, assolutamente in diritto di chiedere asilo, che minacciarono addirittura di annegare i bambini in mare in caso di respingimento. L’accaduto fece scatenare una tempesta politica tutta interna al governo, Umberto Bossi Ministro delle Riforme istituzionali e della Devoluzione disse esplicitamente: “Il governo si sta muovendo male sull’immigrazione”, denunciando un approccio eccessivamente morbido alla questione, l’allora Ministro degli Esteri Scajola rispose a queste critiche definendo “provinciali” le posizioni del Carroccio perché non tenevano in considerazione la guerra in Medio oriente e il regime di Saddam. L’esecutivo decise di dichiarare lo stato di emergenza attraverso un decreto che concesse poteri eccezionali ai prefetti, come la requisizione di luoghi per organizzare centri di accoglienza, per verificare in loco le domande di asilo. In questo clima emergenziale, o considerato tale, si arrivò all’approvazione della legge n.189 l’11 luglio 2002 al Senato con 146 si, 89 no e 3 astenuti. Il varo della nuova legge venne accolto con polemiche da sinistra e da alcuni cattolici, Rifondazione Comunista la bollò senza mezzi termini come “razzista”, disertando anche il voto finale a Palazzo Madama, contemporaneamente dal mondo cattolico Don Ciotti definì le norme del testo: “Ingiustificate, che violano la dignità e i diritti della persona umana”. Nella maggioranza invece si riuscì a portare a casa l’approvazione del testo finale proprio grazie all’intesa sulla regolarizzazione dei clandestini che in quel momento lavoravano nelle aziende italiane e quella di colf e badanti, che verrà successivamente introdotta attraverso il decreto legge 195 del 10 settembre 2002, in seguito contestato e additato quale maxi sanatoria. Intervista a Francesco Giacalone, “La Stampa”, 9 Marzo 2002, pag. 2. Albanese, Magri, Tosatti, "La Stampa”, 19 marzo 2002, pag.1 Ivi, pag. 2 G. Galeazzi, Immigrazione, sì definitivo alla Bossi-Fini,”La Stampa”, pag.4 e 5
Legge n. 189 del 30 luglio 2002 La legge n.189 del 30 luglio 2002, entrata in vigore il 10 settembre 2002, meglio conosciuta come “legge Bossi-Fini", riguarda la modifica della normativa in materia di immigrazione e asilo fino a quel momento vigente: in particolare il “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” del luglio 1998 e la legge n.40 del 6 marzo 1998, cosiddetta Turco-Napolitano, confluita poi nel Testo unico. Il provvedimento, ancora vigente, prevede modifiche alle norme di rilascio del visto di ingresso (art.4) andando ad inasprire le fattispecie di inammissibilità all’ottenimento del documento, in particolare risulta ostativo: l’essere considerati una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato; la condanna per reati inerenti agli stupefacenti, la libertà personale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso paesi terzi o reati riferibili allo sfruttamento della prostituzione o dei minori. Particolarmente incisivo risulta l’art.5 riguardante il permesso di soggiorno, che interviene pesantemente sul corpus normativo precedente, in particolare il decreto legislativo n.286 del 1998, eliminando la possibilità di ottenimento del permesso di soggiorno a chi non possiede un contratto di lavoro e definendo i limiti di durata del permesso: 9 mesi per lavoro stagionale; un anno per un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato; due anni in caso di contratto lavorativo subordinato a tempo indeterminato; due anni in caso di lavoro autonomo. Tutti i contratti che non prevedono la garanzia da parte del datore di lavoro di un alloggio e del pagamento del titolo di viaggio per il rientro nel proprio paese del lavoratore, non costituiscono titolo valido all’ottenimento del permesso di soggiorno. Lo straniero che richiede il rinnovo del proprio permesso di soggiorno al questore della provincia di residenza, è sottoposto a rilevamenti fotodattiloscopici (art. 7). Il tempo necessario per ottenere la carta di soggiorno viene alzato da cinque anni a sei (art. 9) poi riabbassati a cinque in seguito al recepimento di una direttiva europea. L’art.11 del testo di legge prevede l’inasprimento delle pene riguardanti il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Al comma 9 dello stesso articolo, viene previsto l’utilizzo di navi della Marina militare all’interno delle acque territoriali per il fermo, l’ispezione ed il sequestro di navi per cui ci sia il fondato sospetto siano coinvolte al trasporto illecito di migranti. Nei seguenti articoli (12, 13, 14, 15) vengono disciplinate le disposizioni riguardanti l’esecuzione dell’espulsione dei migranti sprovvisti di permesso di soggiorno, che non l’hanno rinnovato nei tempi previsti e per gli stranieri sottoposti a procedimento penale quale pena alternativa alla detenzione. L’espulsione viene comminata dal questore della provincia competente o dal giudice competente in caso di reato penale e diviene immediatamente esecutiva attraverso l’accompagnamento alla frontiera. La pena può considerarsi estinta al termine di dieci anni dall’esecuzione del provvedimento. Nel testo normativo viene evidenziato come i minori residenti da non meno di tre anni sul territorio nazionale possano ottenere, al compimento della maggiore età, il permesso di soggiorno, dimostrando di essere in possesso di un contratto di lavoro, in alternativa di svolgere un corso di studio e di avere disponibilità di un alloggio. Quanto al ricongiungimento (art. 29, comma 1 lettere b bis, c), esso non è più previsto per i parenti entro il terzo grado, inabili, ma per i soli figli maggiorenni a carico (qualora, comunque, per ragioni oggettive non possano provvedere al loro sostentamento a causa dello stato di salute che comporti inabilità totale); condizioni restrittive sono imposte per i genitori a carico (non devono avere altri figli nel Paese di origine o provenienza, oppure, se ultrasessantacinquenni, gli altri figli devono risultare impossibilitati, per documentati motivi di salute, al loro sostentamento). Riguardo le procedure di asilo il legislatore ha introdotto alcune novità, la principale riguarda la possibilità di trattenere i richiedenti asilo in centri detti CID, in quattro casi: in cui è necessario accertare l’identità o nazionalità, verificare gli elementi posti a base della domanda se non sono immediatamente disponibili, accertare il diritto ad essere ammesso nel territorio nazionale, e in generale, unico caso di trattenimento obbligatorio nel CID, negli altri tre essendo facoltativo, se il richiedente viene fermato in quanto ha eluso o tentato di eludere il controllo alla frontiera o subito dopo, oppure si trova in soggiorno irregolare. In tutti i casi in cui non sia stato disposto il trattenimento, o questo sia cessato, si prevede (art. 31, che modifica l’art. 1, comma 5 della legge Martelli, e art. 1 bis, comma 5) che il questore rilasci un permesso di soggiorno temporaneo, valido fino alla definizione della procedura di riconoscimento. La legge prevede in sintesi:
=0&qId=23914f63-3ba1-4cec-9ec9-9451066b7bd0&tabID=0.17295378902985692&title=lbl.dettaglioAtto, Art. 4, 21/11/2020
Decreto legge 2008 Governo: governo Berlusconi 4, il Popolo della Libertà e Lega Nord. Ministro: Maroni. Periodo: il decreto -legge 23 Maggio 2008 numero 92, convertito con la legge 24 Luglio 2008 numero 125. Contenuto: contrastare l’immigrazione clandestina: il sindaco segnala alle competenti autorità, giudiziaria o di pubblica sicurezza, la condizione irregolare dello straniero o del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell’Unione Europea, per la eventuale adozione di provvedimenti di espulsione o di allontanamento dal territorio dello Stato. Vediamo più nello specifico quali sono le misure significative adottate:
Come suggerisce il lavoro della Treccani, “le politiche di immigrazione in Italia dall’Unità a oggi”, è bene ricordare due aspetti che emergono tra 1998 e 2010. Il primo è quello che in questo periodo si verificò un ulteriore divergenza tra la forte accelerazione dell’immigrazione e la crescente polarizzazione del dibattito politico. Vale la pena soffermarsi sull’aspetto del dibattito politico, non bisogna denunciare il fatto che l’immigrazione entri nell’agenda del programma politico di un partito, è giusto introdurlo sia perché l’immigrazione è fenomeno presente e bisogna dunque regolarlo con l’introduzione di misure e sia perché per poter agire è doveroso avere un programma con determinati punti, idee, progetti ed eventuale finanziarizzazione. Non bisogna nemmeno denunciare il dibattito politico se inteso come dialogo costruttivo tra visioni e idee diverse. Quello che invece si può denunciare e che sicuramente non fa bene e non sortisce effetti concreti è l’uso propagandistico che se ne fa del tema. Soprattutto negli ultimi anni con l’avvento dei partiti populisti il tema immigrazione ha acquisito una certa attenzione ed è divenuto elemento di propaganda politica per conquistare voti. Si fa leva sul malcontento popolare e si trova il capro espiatorio nell’immigrato. L’alternanza al governo tra coalizioni opposte portò a tentativi di rovesciamento delle politiche dell’immigrazione dopo ogni elezione, questo è un altro aspetto messo in evidenza dal lavoro della Treccani. Questo è un aspetto su cui vale la pena soffermarsi, dobbiamo tenere a mente che le misure introdotte sul tema movimenti migratori e integrazione hanno bisogno di tempo per una reale ed effettiva riuscita. Invece molte volte queste misure che i vari governi introducono non hanno il tempo effettivo per essere pienamente e concretamente sviluppate. Può anche accadere che tra i governi che si succedono vi sono programmi del tutto differenti e opposti e il risultato può essere una confusione e una poca realizzazione effettiva. È anche vero che questo aspetto è in parte risultato di quella che è una realtà democratica. Per comprendere bene questo aspetto posto dal lavoro della Treccani, riportiamo le politiche in tema migrazione del 2007 quando al governo c’era una coalizione di centro-sinistra e successivamente quelle del 2008 quando invece troviamo al governo una coalizione di centro-destra. Nel 2007 il centro sinistra cercò di modificare le norme in senso favorevole agli immigrati tramite il disegno legge Amato-Ferrero. Era un programma basato sul facilitare l’acquisizione della cittadinanza per i nati in Italia, accelerare la naturalizzazione, migliorare i canali di ingresso per il lavoro e rilanciare l’integrazione; questo rimase un programma in quanto il governo cadde anticipatamente. Nel 2008 il centro destra va al potere e in tema migratorio c’è un significativo inasprimento delle norme in materia di sicurezza e irregolarità. Il pacchetto Maroni prevedeva ad esempio l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, l’introduzione dell’aggravante della clandestinità nei processi penali o per quello che riguardava l’integrazione i tempi vennero allungati significativamente. https://www.treccani.it/enciclopedia/le-politiche-di-immigrazione-in-italia-dall-unita-a-oggi_%28Dizionario-di-Storia%29/ http://ucs.interno.gov.it/FILES/AllegatiPag/1263/Immigrazione_in_italia.pdf
Decreto- legge Maroni 2009 (Sergio Castaldi) Governo: governo Berlusconi 4, il Popolo della Libertà e Lega Nord. Ministro: Maroni Periodo: il decreto legge 15 Luglio 2009 numero 94 Contenuto: Viene introdotto il reato di ingresso e soggiorno illegale punito con ammenda da 500 a 10.000 euro. Possibilità di trattenere gli immigrati irregolari nei CIE fino a 180 giorni, consentendone l’identificazione e la successiva espulsione. Vediamo più nello specifico quali sono le misure significative adottate:
Occorre soffermaci non tanto sulla “battaglia” per contrastare l’immigrazione clandestina perché sarebbe tema molto complesso e difficile ma piuttosto invito a porre attenzione sulla motivazione. Leggiamo: espulsione a titolo di misura di sicurezza, se riflettiamo bene su questa frase cosa possiamo comprendere? Possiamo comprendere che l’immigrato rappresenti un pericolo per la sicurezza del paese. Possiamo addirittura sostenere che l’arrivo di un immigrato porti insicurezza e destabilizzi una realtà prima sicura. Siamo così sicuri di ciò? Siamo così sicuri che l’immigrato arrivando mini la sicurezza di un paese?
Questo è un altro provvedimento molto forte ma anche qui potremmo aprire una serie di interventi. Fermo-restando che è giusto punire chi commette reati come quelli dal decreto elencati ma occorre anche velocemente parlare di quello che è il rapporto criminalità, straniero e mass media. Nessuno dice che l’immigrato non possa commettere reati ma allo stesso modo non possiamo collegare l’immagine dell’immigrato con quella del criminale. Questa tendenza è stata molto presente, è figlia di un pregiudizio e una generalizzazione e ancor più grave figlia di una certa informazione o meglio disinformazione. Da parte del Governo è un provvedimento forte e giusto ma siamo sicuri che sia l’immigrato a creare questo allarme sociale e possiamo dire con fermezza che si attui la stessa manovra e filosofia sui problemi interni dove magari a commettere i reati sono gli italiani stessi? Valigia Blu in un lavoro dedito allo smascheramento delle fake news rispetto l’immagine dell’immigrato ci dice che non è vero che con l’aumento degli immigrati aumenta la criminalità. Ultimamente son aumentate le denunce a carico degli italiani e sono invece diminuite quelle a carico degli stranieri.
Dobbiamo ricordare però che l’integrazione è un processo bilaterale, per essere effettivo e per rappresentare un arricchimento è opportuno che ci sia un incontro tra italiani e stranieri, non ci sarà integrazione se l’impegno è mosso solo da una parte. Occorre dunque cambiare prospettiva ed entrare nell’ottica che l’integrazione è solo una grande risorsa.
Sono delle misure che ci fanno notare quanto il clima sia aspro ma soprattutto ci fanno notare quanta poca conoscenza vi è attorno il tema immigrazione, ai motivi per cui una persona è spinta a migrare e alle condizioni effettive e reali in cui versa un immigrato. Sono due misure che prevedono una multa a danno dell’immigrato e a carico dello Stato e partono dal presupposto che l’immigrato abbia la possibilità di pagarle. Uno dei motivi principali e sicuramente non l’unico che spinge l’immigrato a spostarsi è quello di sfuggire alla povertà e alla miseria che caratterizzano il suo paese di origine. Dobbiamo tenere a mente che già il viaggio in sé è un investimento importante a cui partecipa l’intera famiglia e l’intero villaggio, l’immigrato è un investimento per un futuro migliore ed è lui poi a dover sostenere economicamente la famiglia rimasta nel luogo di origine in quelle condizioni di povertà e miseria. Detto ciò troviamo quindi molto difficile che l’immigrato abbia la possibilità materiale per poter pagare queste multe. Sono delle misure che riflettono una non conoscenza dell’argomento.
http://ucs.interno.gov.it/FILES/AllegatiPag/1263/Immigrazione_in_italia.pdf
Decreto legge 2015 Governo Renzi Periodo: 18 Agosto 2015 Ministro: Alfano Contenuto: il decreto-legge stabilisce le norme relative all’accoglienza dei cittadini di Paesi non appartenenti all’ Unione Europea e degli apolidi richiedenti protezione internazionale. Il decreto-legge è molto complesso e articolato, suddiviso in varie parti e articoli (art 1 finalità e ambito applicativo, art 2 definizioni, art 3 informazione, art 4 documentazione, art 5 domicilio, art 6 trattenimento, art 7 condizioni del trattenimento, art 8 sistema di accoglienza, art 9 misure di accoglienza, art 10 modalità di accoglienza, art 16 forme di coordinamento regionale e nazionale, art 20 monitoraggio e controllo, art 23 revoca delle condizioni di accoglienza). (vedi Documento completo)
Decreto legge 2017 Governo Gentiloni. Periodo: convertito in legge con modificazioni il decreto-legge 17 febbraio 2017 n. 13 Contenuto: il decreto contiene disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale e per il contrasto dell’immigrazione illegale. Vediamo più nello specifico i contenuti:
https://www.interno.gov.it/it/notizie/e-legge-decreto-minniti-sul-contrasto-allimmigrazione-illegale https://www.gazzettaufficiale.it/ Da Salvini a Lamorgese Il primo giugno 2018 Matteo Salvini diventa ministro dell’Interno: gli sbarchi annuali sono 52.194; quando dopo 15 mesi lascia il suo incarico (5 settembre 2019) scendono a 8.428. Nei 13 mesi successivi con il neoministro Luciana Lamorgese gli arrivi dei migranti triplicano fino a raggiungere i 27.775 in un anno. Solo negli ultimi tre mesi, da luglio a settembre, in Italia sbarcano 16.778 immigrati. Più che in tutto il 2019 quando sono stati 11.471. Il calo di arrivi comincia in maniera significativa durante il Governo Gentiloni, dal 12 dicembre 2016 il dicastero dell’Interno è presieduto da Marco Minniti, infatti si passa da 181.436 sbarchi ai 72.571 della fine del suo mandato, a determinare questo decremento è l’accordo con la Libia del 2 febbraio 2017 per il contrasto delle partenze dalle coste africane. Dal momento dell’accordo gli sbarchi si fanno sempre più rari, fino a toccare il minimo storico di 300 al mese tra gennaio e aprile 2019. Decreto-Legge n.130 21 ottobre 2020 Il Decreto-Legge n. 130 dell’ottobre 2020, noto anche come “Decreto Lamorgese” dal nome del Ministro dell’Interno che è succeduto a Matteo Salvini, prevede modifiche alla legislazione sulla gestione del fenomeno migratorio, incidendo anche sulle norme del decreto “sicurezza”. (vedi Documento completo) |
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