Ci rubano il lavoro!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI

Corso di Laurea magistrale in Storia e società

 

L’immagine degli immigrati: razzismo, pregiudizi, stereotipi   

 

Oltre cento anni di pseudo-teorie e delle loro aberranti applicazioni: dai craniometri di fine Ottocento agli emigranti di inizio secolo ad

Ellis Island, ammassati in un capannone in attesa di una visita medica prima di entrare negli Stati Uniti; dall' eugenetica nazista agli

ultimi studi sul Dna, che dimostrano l' assurdità di una distinzione tra specie umane, basata esclusivamente sui caratteri visibili.

Samuel George Morton, un naturalista americano, fin dal 1820 tentò di ordinare gerarchicamente le razze in base alla grandezza media dei loro cervelli. In

Inghilterra e negli Stati Uniti il post-darwinismo approda anche alle teorizzazioni sul "Q.I.", il quoziente intellettivo che scienziati come sir Cyril Burt

considerarono un carattere unico, praticamente ereditabile. Sempre negli Stati Uniti si possono ricordare anche le "sterilizzazioni eugenetiche", ben 20mila

nel 1935, per eliminare alla radice il rischio dell' ereditarietà di malattie psichiche o fisiche, in cui erano compresi l' alcoolismo, la tossicodipendenza e persino

cecità e sordità. Per arrivare poi agli orrori di Auschwitz, come i test razziali sui bambini, senza dimenticare l'antisemitismo d' Italia, dalle leggi del ' 38 fino

alle deportazioni degli ebrei.

Bisogna aspettare tempi più recenti per l' indicazione di una interpretazione non razzista della diversità umana, attraverso gli studi della genetica delle

popolazioni (da Cavalli Sforza ad Alberto Piazza) e le parole di Norberto Bobbio: "Gli uomini sono tutti uguali, gli uomini sono tutti diversi. In una visione

liberale della convivenza nessuno è tanto egualitario da non riconoscere il diritto alle differenze religiose, e nessuno potrà essere tanto differenzialista da

disconoscere i diritti di tutti, da qualsiasi parte provengano, rispetto ai diritti dell' uomo".

(Cfr. anche Lungo viaggio attraverso il razzismo)

 

Luoghi comuni sugli immigrati

 

1. Siamo di fronte a un'invasione!


"Nell’Unione Europea, su oltre 500 milioni di residenti di ogni età (510 milioni) nel 2015, solo il 7% era costituito da immigrati (35 milioni), mentre gli autoctoni sono

la stragrande maggioranza (93%, pari a 473 milioni). La quota di stranieri varia notevolmente tra i Paesi europei (il 10% in Spagna, il 9% in Germania, l’8% nel

Regno Unito e in Italia, il 7% in Francia). È curioso, però, che i Paesi più ostili all’accoglienza degli immigrati sono quelli che ne hanno di meno: la Croazia, la

Slovacchia e l’Ungheria, ad esempio, che ne hanno circa l’1%".

2. Ma non c'è lavoro neanche per gli italiani, non possiamo accoglierli!


"Per mantenere sostanzialmente inalterata la popolazione italiana dei 15-64enni nel prossimo decennio, visto che tra il 2015 e il 2025 gli italiani diminuiranno di 1,8 milioni, è invece necessario un aumento degli immigrati di circa 1,6 milioni di persone: si tratta di un fabbisogno indispensabile per compensare la riduzione della popolazione italiana in età lavorativa".

3. Sì, ma questi ci rubano il lavoro!


"Agli immigrati sono riservati solo i lavori non qualificati, in gran parte rifiutati dagli italiani: gli stranieri non riducono l’occupazione degli italiani, ma occupano progressivamente le posizioni meno qualificate abbandonate dagli autoctoni, soprattutto nei servizi alla persona, nelle costruzioni e in agricoltura: settori in cui il

lavoro è prevalentemente manuale, più pesante, con remunerazioni modeste e con contratti non stabili. Dai dati più aggiornati del 2015, infatti, emerge che oltre

un terzo degli immigrati svolge lavori non qualificati (36% contro il 9% degli italiani)".

4. Sarà, però ci tolgono risorse per il welfare.


"I costi complessivi dell’immigrazione, tra welfare e settore della sicurezza, sono inferiori al 2% della spesa pubblica. Dopodiché, gli stranieri sono soprattutto contribuenti: nel 2014 i loro contributi previdenziali hanno raggiunto quota 11 miliardi, e si può calcolare che equivalgono a 640mila pensioni italiane.

Col particolare che i pensionati stranieri sono solo 100mila, mentre i pensionati totali oltre 16 milioni".

5. Comunque i rifugiati sono troppi, non c’è abbastanza spazio in Europa!


"Dei 16 milioni complessivi solo 1,3 milioni sono ospitati nei 28 Paesi dell’Unione europea (8,3%), tra cui l’Italia (118mila, pari allo 0,7%). I Paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati nel 2015 sono la Turchia (2,5 milioni), il Pakistan (1,6 milioni), il Libano (1,1 milioni) e la Giordania (664 mila)".

6. Certo, e allora li ospitiamo negli alberghi.


"I centri di accoglienza straordinaria sono strutture temporanee cui il ministero dell’Interno ha fatto ricorso, a partire dal 2014, in considerazione dell’aumento del flusso: le prefetture, insieme alle Regioni e agli enti locali, cercano ulteriori posti di accoglienza nei singoli territori regionali, e quando non li trovano si rivolgono

anche a strutture alberghiere. Si tratta di una gestione straordinaria ed emergenziale, spesso criticata in primo luogo da chi si occupa di asilo, perché improvvisata,

in molti casi non conforme agli standard minimi di accoglienza e quindi inadatta ad attuare percorsi di autonomia. Quindi sono uno scandalo non gli alberghi, ma la

mala gestione e l’assenza di servizi forniti in quei centri improvvisati".

7. E diamo loro 35 euro al giorno per non fare niente!


"In Italia, nel 2014, sono stati spesi complessivamente per l’accoglienza 630 milioni di euro, e nel 2015 circa 1 miliardo e 162 milioni. Il costo medio per l’accoglienza

di un richiedente asilo o rifugiato è di 35 euro al giorno (45 per i minori) che non finiscono in tasca ai migranti ma vengono erogati agli enti gestori dei centri e servono a coprire le spese di gestione e manutenzione, ma anche a pagare lo stipendio degli operatori che ci lavorano. Della somma complessiva solo 2,5 euro in media, il cosiddetto “pocket money”, è la cifra che viene data ai migranti per le piccole spese quotidiane (dalle ricariche telefoniche alle sigarette)".

8. Sì, però i terroristi islamici stanno sfruttando i flussi migratori per fare attentati e conquistare l’Europa!


"Limitando l’osservazione al terrorismo islamista, i primi 5 Paesi con la maggiore quota di morti sono l’Afghanistan (25%), l’Iraq (24%), la Nigeria (23%), la Siria (12%), il Niger (4%) e la Somalia (3%). Le vittime dell’Europa occidentale rappresentano una quota residuale, inferiore all’1%. L`Italia è terra d’immigrazione con molti cristiani ortodossi: oltre 2 milioni tra ucraini, romeni, moldavi e altre nazionalità. Seguono circa 1 milione e 700mila persone di religione musulmana (compresi

gli irregolari e minori), meno di un terzo del totale degli oltre 5 milioni di stranieri in Italia. In Europa solo il 5,8 per cento della popolazione è di religione islamica".

Si veda anche: Anti-slogan: le 10 leggende più diffuse sulla migrazione sfatate una ad una



Altri luoghi comuni

1. Sono poveri analfabeti

2. Portano droga e prostituzione

3. Sono potenziali delinquenti

4. Sono arroganti e incontentabili

5. Non sono capaci di aiutarsi da soli

6. Sono diversi, incompatibili con la nostra cultura

 

 

Lo stereotipo dell'immigrato

 

L’Immigrato Elettronico

Definiamo (non troppo seriamente) ‘Immigrato Elettronico’ - I.E. - l’immagine del migrante proposta dalla televisione, e più in generale dai mezzi di

comunicazione di massa. L’Immigrato Elettronico è una figura senza dimensioni né spessore individuale, costretta a compiere gesti ripetitivi, abitare

sempre gli stessi 'non luoghi' (Marc Augé), vivere sempre gli stessi disagi, creare sempre gli stessi problemi: una creatura geneticamente limitata,

un’età tra i 20 e i 30 anni, quasi sempre maschio e di colore preferibilmente scuro; e soprattutto compie un numero incredibilmente ridotto di azioni,

che peraltro ripete ossessivamente.

L’Immigrato Elettronico prima di tutto arriva. Arriva continuamente, anche dopo la chiusura delle frontiere, anche in assenza di programmazione dei flussi,

anche se magari è in Italia da vent'anni. Arriva quasi sempre con un barcone scassato (una ‘carretta del mare’), o – se va bene – con la nave,

scendendo preferibilmente in lunghe file da una scaletta o da una passerella. Qualcuno in realtà arriverebbe con l’aereo: ma si perderebbe l’effetto

“invasione”, perché su un aereo ce ne stanno troppo pochi. Dunque, la nave.

Subito dopo l’immigrato porge, imbarazzato, il passaporto ad una guardia di frontiera o poliziotto. Secondo alcuni autori, l’imbarazzo è dovuto alla paura

di non passare il controllo; secondo altri, alla presenza di telecamere,  immancabilmente presenti accanto al posto di frontiera. 

Dunque l’immigrato arriva, porge, e poi si aggira.

L’Immigrato Elettronico ama aggirarsi con lo sguardo smarrito tra la folla della stazione. Sembra appena arrivato, ma a volte sta qui anche da 10 o 15 anni,

ha un lavoro  e una casa come tutti; e pur tuttavia continua ad aggirarsi smarrito mentre gli autoctoni, indaffarati, passano tra lui e la telecamera. I più furbi

tra gli immigrati elettronici, invece, fanno la fila: in questo caso, infatti, sono esentati dall’aggirarsi smarriti e possono ottenere il permesso di soggiorno e/o

il posto di lavoro.

Immediatamente dopo, infatti, senza soluzione di continuità, ritroviamo l’Immigrato Elettronico impegnato nel lavoro. Qui si capisce l’espressione

“braccia di lavoro”: l’immigrato in TV, infatti, raccoglie pomodori, stende i tappetini,  porge la merce al compratore, inforna le pizze, serve bevande e

cibarie, lava i vetri delle macchine … Naturalmente, l’I. E. non svolge lavoro autonomo se non la vendita ambulante; studia molto raramente, e anche se

diplomato o laureato, non lavora in uffici, né svolge libere professioni; se è donna, fa inevitabilmente la spesa al mercato, o accompagna un anziano

autoctono non autosufficiente.

In questo contesto, nella figura dell’Immigrato Elettronico, il mestiere svolto si intreccia con la provenienza etnica, che a sua volta si lega

immancabilmente a caratteristiche temperamentali, sociologiche o culturali. L’I.E. si declina così ne la fedele badante, il laborioso filippino,

l’ambulante senegalese, lo slavo arrogante, il rapinatore albanese, il pericoloso clandestino (che è tale anche prima di entrare, anche in mezzo al mare,

anche da morto); e finalmente l’immigrato islamico, non maggioritario (due terzi degli immigrati sono cristiani), ma protagonista supremo della

rappresentazione mediatica, anche nelle vesti insidiose del presunto terrorista, dell’imam di Segrate e altri simpatici personaggi.

Al pomeriggio, stanco di gesticolare e di aggirarsi,  l’I.E. torna alla stazione Termini, o a Porta Palazzo, o nel ‘bronx’ di San Salvario, e consuma,

specialmente se è filippino, un modesto pasto sulle panchine. Quando è sera, anche se può pagarsi un appartamento decente, l’Immigrato Elettronico

dorme sotto i ponti, o in baracche senza tetto, preferibilmente su un pagliericcio o un materasso senza rete, in alloggi solitamente squallidi, dove la

telecamera a mano – il cavalletto fa troppo fiction – gira a scoprire angoli sporchi e macchie di umido sul soffitto…

Così, a notte fonda, dopo aver concluso la sua giornata mediatica su una sbiadita fotografia in cronaca, il povero Immigrato Elettronico, esausto, steso

sotto la coperta in qualche tugurio, guarda triste in macchina, con lo sguardo rivolto allo spettatore, come per dire:

"Posso aggirarmi smarrito anche domani?"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

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