Profughi su un gommone

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI

Corso di Laurea magistrale in Storia e società

 

Leggi e politica delle emergenze 

 

LA LEGGE TURCO-NAPOLITANO

La legge 40 è la legge Turco-Napolitano sull’immigrazione, nata con l’idea di superare, 6 anni dopo la Martelli, ogni forma di emergenza. Una legge organica, che pretende affrontare seriamente il fenomeno delle migrazioni e il problema dell’immigrazione non in modo emergenziale, ma appunto in modo organicamente

articolato con la consapevolezza che si tratta di un fenomeno di lunga durata e non di un evento transitorio. Purtroppo il superamento dell’emergenza, tentato con

la costruzione della legge, non è stato risolto e non lo sarà, almeno nei tempi brevi. Tuttora le politiche che riguardano l’immigrazione – basta sentire la televisione

e leggere i giornali – sono dettate soprattutto dalla cosiddetta emergenza, cioè da quanto sembra emergere dalle cronache soprattutto urbane, cittadine.
Cerchiamo di presentare i principi portanti della legge e di analizzare i motivi per i quali non ha funzionato appieno e individuare i motivi che avrebbero potuto

farla funzionare.
I tre principali elementi che la caratterizzavano sono:
1. la lotta alla clandestinità . Questo elemento è stato messo molto in evidenza anche per ragioni politiche, per combattere in modo più efficace di quanto non si

facesse prima, l’irregolarità;
2. la programmazione dei flussi, cioè la definizione del numero e dei modi degli arrivi, degli ingressi in Italia;
3. le misure di integrazione.
Questi tre principi, di per sé, contemperano da una parte l’accoglienza, quindi l’integrazione degli stranieri, e le misure di contenimento, il governo del fenomeno,

il suo controllo e, quindi, anche le misure di ordine pubblico – si pensi per esempio alle espulsioni. Questi tre fattori dovevano, in qualche modo, dare equilibrio alla legge. Forse non è stao così fino in fondo: la legge era una delle migliori d’Europa, considerando che l’Unione Europea non ha una politica comune. Anche se esistono delle tendenze comuni, c’è ancora una politica dei governi, che è legata a leggi datate, seppure negli ultimi anni siano state molto trasformate anche in paesi di antica immigrazione come la Francia o la Germania.

Ma in quali aspetti la Legge 40 non ha funzionato, quali problemi ha creato?
Riguardo al primo principio, il problema più grosso consiste nel sapere che cosa fare della gente che deve essere espulsa. Sappiamo bene che, ancora oggi, su dieci persone che vengono espulse, a cui viene dato il foglio di via, non più di tre o quattro poi partono realmente. Questo problema era già sorto con la legge Martelli: che cosa fare per rendere più realistico lo schema dell’espulsione? L’idea di creare i centri di identificazione ed espulsione non è stata felice. In questi luoghi gli immigrati attendono l’esito delle ricerche, delle pratiche e l’espulsione. È stata un’idea poco felice, perché è anticostituzionale. Le persone non sono internate sulla base di un reato: infatti la mancanza del permesso di soggiorno non è considerato un reato, ma una misura amministrativa. Quindi, gli immigrati che sono internati lo sono in maniera del tutto anticostituzionale. Non possono essere trattenuti, tanto è vero che il periodo ufficiale di detenzione era a quell'epoca di soli 20 giorni, che

regolarmente diventavano 30, rischiando di diventare ancora di più. Basta questo periodo a compiere l’iter amministrativo e a permettere poi la reale espulsione?

La risposta è no.


Anche da un punto di vista repressivo, che del resto non condividiamo, la legge non ha quindi trovato uno schema funzionante, uno schema efficace e questo è un

rischio, è grave. Non soltanto il governo adotta una misura repressiva, ma questa è palesemente anticostituzionale e, per di più, non funziona nemmeno.
Secondo elemento: i flussi di programmazione. Per governare un fenomeno che non si può bloccare, l’unico modo consiste nel determinare, in qualche modo, la misura del fenomeno stesso. Molti paesi, il Canada, gli Stati Uniti, l’Australia adottano il famoso sistema delle quote. Un sistema che funziona e non funziona, ma è un sistema. Se non altro significa che il paese sa di aver bisogno dell’immigrazione e ne determina la dimensione e la misura, cercando gli strumenti per regolarizzare gli ingressi.

Se non si possono bloccare le migrazioni, cosa impossibile, si può almeno cercare di governarle, quindi di comprendere quante persone arrivano e di quante persone si possa e si debba farsi carico. Questo “prenderci carico”, va detto, è un po’ ipocrita, perché si tratta di una vera possibilità di immigrazione legata a reali possibilità di inserimento.

Il tentativo di regolare i flussi è proprio questo: programmarli. Cercare di capire quali sono le aree, quali sono i mestieri che ci servono e agire di conseguenza, prendendo le misure necessarie. Evidentemente bisogna inventarsi un sistema per far sapere a quelle persone che vogliono emigrare come e dove andare. Si è pensato di affiggere nelle ambasciate italiane delle liste da cui il candidato all’emigrazione potrà vedere se c’è bisogno di lui e della sua professione, in quale provincia si potrà iscrivere. Gli organismi statali preposti al lavoro potranno quindi chiamarlo nelle quote dei carpentieri.
Questo sistema non è nuovo, esiste già in altri paesi. Nel nostro ordinamento non è mai stato completamente messo in atto. Anche quando si parla di ingresso per ricerca di lavoro, in realtà, la ricerca del lavoro, ora come ora, avviene a livello personale. L’immigrato si presenta e cerca lavoro come può. Non esiste una lista precisa, quindi si iscriverà al collocamento nei termini tradizionali ed essendo l’ultimo arrivato, naturalmente, incontrerà molte difficoltà. Questo è il tipo di percorso “italiano”.

Se un percorso fattibile non viene identificato, si finisce inevitabilmente per ricorrere alla sanatorie. Le quali a loro volta producono nuovi irregolari, perché inducono molti a cercare di raggiungere l'Italia anche se non si hanno i requisiti richiesti ed anche dopo la scadenza dei termini. E' l’effetto di una politica emergenziale.

 

 

 

   

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