POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI

Corso di Laurea magistrale in Storia e società

 

I media dell'immigrazione

 

Che rilevanza, e quali caratteristiche ha la ‘voce’ degli immigrati e delle minoranze etniche nei media in Italia? I tentativi di creare periodici

di Comunità, finora, sono stati pochi e poveri di mezzi. Tra gli altri, si possono ricordare “Il messaggero dell’Islam”, rivista del centro

islamico di Milano; il mensile “Pinoy”, che si rivolgeva (ora è scomparso) – in tagalog e in inglese – alla Comunità filippina in Italia; e

mensili che hanno avuto vita ancora più breve, come “Baladi” (Paese mio), della Comunità egiziana in Lombardia, o “Al Karameh” (La dignità), stampato a Bologna. Queste pubblicazioni scontano naturalmente le difficoltà di vita, di inserimento, di socializzazione degli immigrati, e le loro condizioni culturali ed economiche.


Forse la più significativa rilevazione delle iniziative animate in Italia da immigrati è stata curata dalla Ong Cospe (Camilla Bencini, Valentina Lombardo, Mostafà

Soulur e Ilaria Sbolci) nel periodo marzo-ottobre 2001, in collaborazione con la cattedra “Teoria e tecnica della comunicazione di massa” dell’Università di Firenze

(Carlo Sorrentino e Felicita Gabellieri) attraverso questionari semistrutturati, ricorrendo, per i contatti con le emittenti radio-televisive, ai Comitati Regionali per la Comunicazione. La ricerca voleva censire, all’interno di un arco temporale compreso tra il 1990 e il 2002, i prodotti mediali rivolti a e/o prodotti da immigrati,

escludendo dagli obiettivi dell’indagine i prodotti a diffusione nazionale. Sono state escluse, quindi, trasmissioni Rai come le rubriche televisive “NonsoloNero”

(andata in onda settimanalmente dopo il Tg2 per sei anni, dal 1988 al 1994, con un ascolto medio di 5 milioni di spettatori, e punte di quasi 8 milioni); “Un mondo a colori” (rubrica di Rai Educational, penalizzata da un orario meno favorevole, ma con buona continuità di ascolti); e “Shukran” (per il Tg3). O come il radiofonico “Permesso di soggiorno”, rubrica di servizio trasmessa per alcuni anni nella primissima mattinata.


La ricerca ha evidenziato la presenza di 16 emittenti TV e 44 stazioni radio che hanno o hanno avuto, negli ultimi anni, almeno un’esperienza di iniziativa

multilinguistica nel loro palinsesto; 31 testate editoriali dedicate agli immigrati e 10 al tema dell’immigrazione.
I primi tentativi censiti risalgono all’inizio degli anni ’90, (il programma radiofonico censito più vecchio risale al 1989, quello TV al 1993, per la carta stampata

al 1990) e la massima attivazione si è verificata nella seconda metà degli anni ‘90: il 49, 6 per cento esiste da un periodo compreso da 1 a 5 anni e l’11 per cento

supera la soglia dei 5 anni. I due strumenti privilegiati sono al primo posto la radio e poi la carta stampata, mentre meno presenti sono i programmi TV. Il bacino d’utenza (radio e TV) e di diffusione (carta stampata) vede la prevalenza delle iniziative di carattere locale (23 per cento iniziative cittadine e locali, 34 per cento iniziative provinciali ). Le regioni più attive sono la Toscana (14,3), il Lazio (13,2) la Lombardia (12), l’Emilia Romagna (10 per cento).


Tenendo conto che si sono esclusi quei prodotti mediali di cui è stato segnalato solo il titolo o la generica presenza senza ulteriori informazioni, le esperienze

censite (70 programmi radio, 16 televisivi e 31 prodotti editoriali) assommano a 117 prodotti, di cui 87 in corso e 30 conclusi, di carattere estremamente eterogeneo: inserimento nel palinsesto di un programma pensato per quel target; uso di un’altra o molte altre lingue; collaborazione redazionale di giornalisti e operatori

immigrati; programmazione di musica etnica o di altri paesi; presenza di notizie o programmi sull’immigrazione.
Per quanto riguarda la radio e la TV, le trasmissioni sono inserite prevalentemente nella fascia oraria serale e sono a cadenza bisettimanale; nella maggioranza

dei casi si tratta di produzioni interne, in pochi casi la produzione è esterna ( trasmissioni realizzate e andate in onda nei paesi d’origine o documentari realizzati

da fonti esterne ); nel 19,8 per cento si tratta di coproduzioni.
Nella maggior parte dei casi si tratta di spazi autogestiti e autoreferenziali che rischiano di mantenersi estranei al contesto redazionale e al tessuto sociale del paese ospitante, anche se ricoprono un ruolo importante nelle dinamiche di accoglienza dei nuovi arrivati, informando sul come ottenere il permesso di soggiorno, dove

trovare alloggio, e così via. La tipologia di programmi più diffusa è il programma contenitore, seguito dai TG, spesso a carattere di news internazionali, cronaca e informazione sui paesi d’origine, spesso bi o multilingue.


Per la stampa, si tratta di una produzione più eterogenea: bollettini di servizio, riviste di comunità, monografie tematiche, guide alla legislazione e ai servizi; riviste

di approccio antropologico ed etnografico, che di volta in volta evidenziano come pubblico di riferimento gli italiani, gli operatori del settore, i singoli immigrati appena arrivati in Italia piuttosto che le comunità straniere insediate da tempo nel nostro paese. La maggioranza delle pubblicazioni si attesta tra le 1500 e le 5000 copie, ma

il 12,9 per cento ha una diffusione tra 5000-10000 copie e anche più. Il prodotto più diffuso ha cadenza periodica (mensili, tri, quadri e semestrali). Il 16,2 per cento è edito da un privato cittadino, il 15,6 per cento dal mondo dell’associazionismo (culturale, sindacale e di volontariato). Il 6,4 per cento è edito da enti locali (comuni e regioni), solo nel 12,9 per cento ci troviamo di fronte a vere e proprie case editrici.
La caratterizzazione delle iniziative è esterna alla logica di mercato. Chi produce lo fa in un’ottica di servizio, per finalità etnico-culturali; nel complesso reperire i

fondi è molto arduo: il 35 per cento non ha un finanziamento; il 14,5 per cento lo riceve da enti locali e il 24,1 per cento dalla pubblicità. Il personale è quasi sempre misto. Il 29, 9 per cento utilizza l’italiano come unica lingua, il 20,5 un’unica lingua straniera, il 18,8 è bilingue e il 29 per cento è multilingue.


Nel complesso ci si trova di fronte a:
1) Iniziative militanti, promosse dall’associazionismo, cattolico e di sinistra, focalizzate su solidarietà e intervento sociale, le une, e impegno ideologico-politico e promozione dei diritti le altre.
2) Trasmissioni di servizio, produzioni italiane, promosse da enti pubblici o associazionismo, mosse dal valore del diritto all’informazione: tipici i telegiornali
multilingue.
3) Prodotti di comunità promossi dalla comunità stessa, che perseguono la valorizzazione della cultura d’origine e la cura dei rapporti con il Paese di provenienza.
4) Iniziative della multiculturalità, spesso cogestite da italiani e immigrati, che promuovono il confronto tra culture spaziando tra musica, cucina, letteratura, stili di vita...
5) Il modello di mercato, che è il meno diffuso, sebbene si mostri particolarmente interessante visto che gli immigrati non sono percepiti come soggetti svantaggiati da tutelare ma come potenziali consumatori.
Il Cospe conclude la sua indagine affermando che: “l’offerta mediale multiculturale censita costituisce un elemento importante di prima accoglienza per gli immigrati

(soprattutto per la sua funzione di prima informazione), e può costituire un primo passo, timido ma importante, verso la costruzione di una società polifonica, in cui le diverse nazionalità abbiano pari diritto di cittadinanza”.

3.
Una ricerca molto simile, condotta alcuni anni fa dall’Osservatorio media etnici della ISI Etnocommunication, fornisce anche dati interessanti sulle lingue più rappresentate nei diversi settori: per la carta stampata, per esempio, la lingua più presente è il cinese (4 testate), seguita da spagnolo e inglese (3 testate), albanese, arabo, francese e portoghese (2 testate).
Quanto alle emittenti radiofoniche, le lingue che vanno in onda più frequentemente sono lo spagnolo (30 programmi) e il francese (13), seguite dal tagalog (la lingua parlata nelle Filippine) e dal cingalese (con 3 programmi ciascuna), e dal portoghese (2 programmi).
Su dieci emittenti televisive censite dall’Osservatorio, sono stati registrati 4 programmi in spagnolo, 2 in francese e 2 in portoghese; ma anche trasmissioni in cinese, arabo e ucraino.
Nella maggior parte di casi, in realtà, pubblicazioni e programmi usano sia l’italiano che la lingua d’origine: a volte con il sistema del ‘testo a fronte’, altre volte con una selezione in lingua degli articoli più interessanti.
Dal punto di vista linguistico, uno dei tentativi più interessanti è la rivista di letteratura multiculturale “Caffè”, fondata nel 1994 da un piccolo gruppo di intellettuali italiani e scrittori immigrati con l’intenzione di dare voce alle espressioni scritte - racconti, poesie, saggi autobiografici, testi teatrali e cinematografici - e orali - interviste, storie di vita, canzoni - in lingua italiana o tradotti in italiano, degli stranieri immigrati che vivono nel nostro paese. Proprio come il caffè che, provenendo dall'Africa, dall'Arabia, dall'America Latina, è diventato parte integrante e rito quotidiano della cultura italiana, così le voci degli stranieri che vivono in Italia diventano parte necessaria dei nuovi linguaggi che si parlano nel nostro paese. Il caffè è anche un luogo dove i viaggiatori fanno sosta, dove le persone stanno insieme e parlano tra loro; la rivista prova a svolgere la stessa funzione, anche se, nata come trimestrale, esce con cadenza irregolare, e distribuzione prevalentemente militante.
In anticipo rispetto ad altre iniziative editoriali che sono seguite negli ultimi anni – primo di tutti il premio letterario “Ex&tra”, che ha permesso anche la pubblicazione di importanti antologie degli autori più interessanti, e poi riviste on line come “Kuma”, fondata da Armando Gnisci, e “El Ghibli”, realizzata da un gruppo di poeti e scrittori immigrati – “Caffè” ha affermato già agli inizi degli anni ‘90 che la letteratura italiana è anche opera di poeti camerunesi, di viados brasiliani, di intellettuali tunisini, di ambulanti pakistani che si impadroniscono della nostra lingua, la cambiano, la sprovincializzano e ne fanno uno strumento per una comunicazione profonda, non soltanto di denuncia e di rivendicazione.

4.
A livello europeo, l’iniziativa più interessante sui media degli immigrati è stata, alcuni anni fa, la presentazione di un “Manifesto Europeo dei Media Multiculturali”, che parte dalla constatazione che in tutta Europa questi media - o singole iniziative (trasmissioni radio e tv ) - sono una realtà vivace e in crescita continua e costituiscono importanti canali di comunicazione e informazione sia all'interno delle comunità di cui sono espressione, sia verso la società nel suo insieme.
Il Manifesto vuole valorizzare la ricchezza di queste produzioni, mettendo in luce gli ostacoli che incontrano nel loro operare e le possibili soluzioni che potrebbero essere adottate se venisse riconosciuto loro lo status di servizio di interesse pubblico. In questo senso, richiama le numerose conferenze europee e nazionali che, come la Conferenza del Consiglio d’Europa “Migranti, Media e Diversità Culturale” (Noordwijkerhout, 1988), hanno sollecitato i governi dei paesi europei a riconoscere il diritto dei migranti e delle altre minoranze etniche di ricevere attraverso i media una comunicazione adeguata ai loro bisogni e il diritto ad esprimersi nei media, adoperandosi perché questi diritti siano garantiti nella legislazione relativa ai media e nei testi che regolano il servizio pubblico
Consapevoli che sensibilizzare la popolazione di etnia maggioritaria sui benefici e le sfide dell’immigrazione è fondamentale in una politica propositiva di integrazione e che i mass media hanno una responsabilità primaria nella costruzione dell’opinione pubblica; e convinti che, diversamente dai mezzi di comunicazione mainstream, i media multiculturali possono vantare contatti efficaci con reti, portavoce e esperti di origine etnica minoritaria e, di conseguenza, agire da mediatori nei confronti dei media a larga diffusione, gli estensori del “Manifesto” scrivono che i media multiculturali, in quanto iniziative di servizio di interesse pubblico, possono svolgere un ruolo centrale per favorire e incoraggiare pari accesso e piena partecipazione dei migranti e dei gruppi di origine etnica minoritaria. E chiedono al Parlamento Europeo, alla Commissione europea e ai Governi degli stati membri di assicurare “che i media multiculturali siano riconosciuti come servizio di interesse pubblico fondamentale per la comunità e che, in quanto tali, vengano ricompresi in tutte le normative europee e nazionali che disciplinano i media e ottengano uno status riconosciuto in tutte le piattaforme di diffusione; che i media multiculturali siano riconosciuti come attori importanti nell’applicazione delle politiche di integrazione; e che i Governi nazionali creino un Fondo per i media multiculturali, allo scopo di fornire fondi di avvio e di finanziamento permanente su base strutturale” (1).

(1) Il Manifesto è stato tradotto in Italia dal Cospe, sul suo sito “More Colour in the Media” (cfr. anche http://www.multicultural.net)

 

 

 

 

 

 

   

        Dipartimento di 

         studi umanistici

 

  

            Cooperazione

Università Roma Tre

  

 

 

 

 

           Gruppi di lavoro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                 Home