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POLITICA INTERNAZIONALE E DELLE MIGRAZIONI Corso di Laurea magistrale in Storia e società
Analisi degli orizzonti possibili
Gruppo 6
Eva Cijs eva.cijs@gmail.com Camilla Hautant Andrea Rampolla
Gli studenti hanno creato un Gruppo su WhatsApp e un account condiviso su Google Drive, con il quale tutti possono modificare o aggiungere rapidamente i documenti raccolti. Il Gruppo ha fatto una prima lista delle fonti che pensa utili, rendendosi conto che le fonti fondamentali, per un tema così attuale e in continua trasformazione, saranno soprattutto articoli di stampa e siti web. Leggendo "A New Odyssey", il Gruppo si è fatto un quadro più completo sui percorsi, sulle reazioni europee, e sulla vastità del problema. Si è poi proposto uno schema di lavoro: 1. Il viaggio – contesto geopolitico
Il viaggio (Camilla Hautant) Le rotte dei migranti Secondo i dati dell'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex), gli attraversamenti irregolari di frontiera, per arrivare in Europa, nel 2017 corrisponderanno a 1 milione e 382mila nuovi arrivi. La diminuzione è ascrivibile al calo degli arrivi in Grecia a seguito dell'Intesa UE-Turchia del marzo del 2016, all'introduzione di più stretti controlli nei paesi dei Balcani Occidentali, che hanno di fatto chiuso la frontiera balcanica. La stretta sulla rotta libica, per effetto degli accordi Italia-Libia del febbraio 2017, ha fatto registrare i primi cali di flusso solo tra luglio e agosto 2017, quando l’attività della Guardia Costiera libica ha prodotto un calo significativo delle partenze e degli sbarchi in Italia, favorendo però il riemergere di rotte alternative: le traversate in mare dall'Algeria alla Sardegna, dal Marocco all'Andalusia, dalla Turchia a Lesbo in Grecia o a Costanza, nel Mar Nero. L'ultimo rapporto UNHCR, infatti, segnala come il numero di persone che parte dalla Libia in direzione dell'Italia si sta riducendo e contemporaneamente si riattivano delle rotte passate. Dall'estate, infatti, l'agenzia Onu ha riscontrato dei cambiamenti nello schema di movimento dei rifugiati e dei migranti, i quali, secondo l'UHCR, intraprendono tragitti "sempre più diversificati" per raggiungere l'Europa. (Continua) La rotta libica L'intesa tra Unione Europea e la Turchia ha pienamente raggiunto il suo dichiarato obbiettivo: impedire il passaggio di rifugiati siriani, iracheni, afghani ed altri verso le isole greche e quindi verso gli altri paesi del continente. L'attenzione politica europea si è spostata in Africa per frenare il flusso di migranti provenienti dalla principale rotta del mediterraneo centrale: la rotta Libica. Infatti la Libia è diventato il principale paese di transito verso l'Europa, con l'Italia come primo paese di approdo. La volontà delle politiche europee era quella di trovare il tentativo per replicare il "successo" dell'Intesa con la Turchia attraverso nuove politiche di esternalizzazione del problema verso i paesi africani. La realizzazione di questo obiettivo si confronta tuttavia con una serie di circostanze molto diverse rispetto alla Turchia e con delle limitazioni di natura politica e giuridica. Se già la Turchia come "paese terzo sicuro" nei termini della Direttiva UE sulla procedura d'asilo è stata una forzatura, certamente non si può considerare la Libia un territorio sicuro per rifugiati e richiedenti asilo. (Continua) I corridoi umanitari Uno dei metodi legali, che sta trovato un positivo riscontro in tutta l'Europa, sono i Corridoi Umanitari. Il progetto Corridoi Umanitari è fondato sulla possibilità di concedere visti con validità territoriale limitata per motivi umanitari , in deroga alle condizioni di ingresso previste in vi ordinaria, dando la possibilità a profughi in condizioni di particolare vulnerabilità di entrare in Italia in sicurezza e, una volta arrivato, avanzare la richiesta d'asilo. (...) Il primo progetto, il progetto pilota, è stato il frutto di accordo tra la Comunità di Sant'Egidio, la Federazione della Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e il governo italiano. Come principale obiettivo era quello di evitare i viaggi con i barconi nel Mediterraneo ed impedire lo sfruttamento dei trafficanti di uomini. Concedere a persone in condizioni di vulnerabilità un ingresso legale sul territorio italiano con visto umanitario e la possibilità di presentare successivamente domanda di asilo. (Continua) Fonti (vedi Sitografia)
L'arrivo - (Eva Ciys) Il Trattato di Dublino Gli obiettivi principali del trattato di Dublino sono:
Negli anni passati abbiamo visto che il trattato di Dublino III non funziona per diversi motivi:
DublinoIV L’Unione Europea vuole implementare, più presto possibile, un nuovo sistema europeo comune di asilo. Il sistema deve essere in grado di resistere alle crisi, che si possano affrontare in modo efficace le situazioni impreviste. Si devono avvicinare i sistemi nazionali e c’è bisogno di approfondire la fiducia reciproca tra gli Stati membri. L’UE deve cercare di attuare un meccanismo di solidarietà che garantisca una condivisione giusta delle responsibilità del problema delle migrazioni. Il nuovo sistema deve essere in grado di gestire in modo efficace la pressione migratoria, eliminare fattori di attrazione, impedire i movimenti secondari e provvedere supporto efficiente agli Stati membri dove il problema è più urgente. Inoltre, L’Unione Europea vuole rafforzare i percorsi legali. Questi percorsi legali devono diventare una possibilità realistica e alternativa ai viaggi illegali e pericolosi. In questo modo, L’Unione Europea vuole aiutare a salvare vite umane e ridurre la migrazione irregolare. L’UE mira a reinsediare almeno 50.000 persone di protezione internazionale entro ottobre 2019. (Continua) Ipotesi sull’efficienza del nuovo regolamento La proposta per una condivisione più equa di richiedenti asilo e il sostegno agli Stati membri più colpiti può solo risultare efficace in un’ambiente di fiducia reciproca e di solidarietà. In questo periodo manca la solidarietà necessaria per raggiungere tale scopo per vari motivi: in primo luogo, perché agli Stati di frontiera, come l’Italia e la Grecia, sarebbe chiesto di prendere ulteriori responsibilità rispetto al trattato precedente. Per esempio, identificare le richieste, registrare le domande d’asilo, fare la selezione per l’ammissibilità e prendere la responaibilità per le richieste inammissibili. Anche se a lungo termine si dovrebbe creare una condivisione più equa, a breve termine questa proposta pretende ancora di più dagli Stati più colpiti. Probabilmente, aggraverà gli squilibri attuali invece di migliorare la situazione. (Continua) Comprendere le motivazioni dei migranti Secondo De Haas, che ha studiato le motivazioni dell’emigrazione, è essenziale capire le ragioni fondamentali per cui le persone rischiano la morte nel Mediterraneo o attraverso il deserto. Perché una persona rischierebbe la vita, il suo conforto, la famiglia, per un viaggio che nel caso migliore promette una vita emarginata in Europa? Per De Haas, sembra evidente che la spinta ad emigrare non sia tanto la fuga da una situazione difficile, ma l'attrazione delle opportunità, di lavoro e non soltanto, dei Paesi del Nord del mondo. (Continua) Fonti: (vedi la Biblio-sitografia)
L'Europa delle contraddizioni tra democrazia, migrazioni e nazionalismo - (Andrea Rampolla) Con l’elezione di Donald Trump, in molti hanno pensato che l’Europa potesse assurgere a nuova leader del “mondo libero”, soprattutto in merito alle questioni e alle sfide poste dalle migrazioni. Ma, come abbiamo visto, il democratico sistema europeo ha cercato e sta cercando in tutti i modi di diventare sempre più difficile da raggiungere, tanto da aver costruito - metaforicamente e non - una “Fortezza Europa” tramite l’implementazione di politiche respingenti e dalle dubbie connotazioni morali. Se infatti, tramite le parole dei suoi rappresentanti, l’Unione Europea ha espresso la sua contrarietà rispetto all’agenda sull’immigrazione di Trump, gli accordi con Turchia e Libia e la costruzione di barriere e muri anti-migranti all’interno del proprio stesso territorio possono essere considerati come l’esempio della ipocrisia continentale di fronte al problema. (...) La combinazione di crisi economica, terrorismo e flussi migratori ha risvegliato in vari paesi europei - e non solo - un atteggiamento di chiusura nei confronti dell’altro e del diverso, spesso considerato come il vero e proprio responsabile dell’insicurezza e delle difficoltà che si respirano all’interno dei confini nazionali: da qui la volontà di riaffermare le proprie radici etniche e storiche, respingendo e tenendo il più lontano possibile da sé quegli elementi considerati come estranei rispetto al proprio patrimonio culturale e genetico. Il migrante è diventato dunque uno dei capri espiatori per eccellenza, una minaccia all’equilibrio e all’armonia di una comunità, in quanto portatore di un’identità “altra” rispetto a quella nazionale. Viene dunque da chiedersi: può la democratica Europa continuare ad adottare queste politiche senza compromettere per sempre la sua essenza? E’ possibile pensare ad un nuovo modello di società dove il “diverso” non è qualcosa da cui difendersi, ma è esso stesso parte della propria costituzione? (Continua) Canada, un esempio cui guardare o un'eccezione? Il 27 Gennaio 2017 Donald Trump ha varato il cosiddetto “Muslim Ban”, un ordine esecutivo volto a limitare l’ingresso negli Stati Uniti di immigrati e rifugiati provenienti da 7 paesi a maggioranza musulmana, con la finalità - nelle sue intenzioni - di proteggere il Paese da possibili attacchi terroristici. Il giorno seguente il Primo Ministro canadese Justin Trudeau, tramite il suo account Twitter , ha voluto rendere visibile al mondo intero la differenza di approccio riguardo l’immigrazione che c’è tra di due paesi nord-americani in questo momento storico: “To those fleeing persecution, terror & war, Canadians will welcome you, regardless of your faith. Diversity is our strength #WelcomeToCanada” . Al netto della sapiente operazione di storytelling nel voler marcare la sua alterità rispetto al Presidente Trump, Trudeau ha posto l’accento su un tema centrale nel modo di pensare l’identità del Canada: la diversità. (...) Quella di associare esclusivamente il Canada ad un paese privo di razzismo è una favola che, dietro ad una narrativa composta da multiculturalismo, apertura ed inclusività, nasconde una crescente intolleranza e tendenza al suprematismo bianco. Anche il sistema di immigrazione canadese non è immune da criticità: le implicazioni di tipo umanitario sono considerate come molto meno influenti rispetto a quelle di tipo economico, e ciò rischia di rendere l’intero processo come un freddo insieme di parametri burocratici, dove le possibilità di una persona di entrare nel Paese sono legate ad un complesso sistema di punteggi connesso alle skills del richiedente piuttosto che alle effettive necessità umane.(...) Quello che è però interessante sottolineare nuovamente è il fatto che l’immigrazione e la diversità sono viste dal Canada non come delle minacce alla propria identità, ma come parti integrante di essa. (Continua) Cittadinanza, educazione alla diversità, apertura: per un'analisi culturale degli orizzonti possibili Quello di invocare una “rivoluzione culturale” è diventato ormai un luogo comune. Il richiamo a qualcosa di aleatorio e non meglio identificato, l’esigenza di una cambiamento che possa risolvere ogni stortura delle società in cui viviamo è argomento usato quando ogni altra strada più tangibile sembra essere impossibile da percorrere. Ma, uscendo dalla retorica e iniziando a proporre delle strategie concrete, la promozione di una nuova cultura della convivenza e un importante piano di educazione alla cittadinanza e alla diversità potrebbero essere lo strumento adatto a fornire una risposta ai temi di cui si è trattato finora.(...) In un suo articolo sulla questione della nazionalità e della cittadinanza, Michela Murgia rilancia e difende il concetto di appartenenza rispetto a quello di identità: se nella seconda le possibilità di scelta sono inesistenti, nella prima si può decidere se esserne parte o meno. Secondo la scrittrice, piuttosto che sullo Ius Soli o sullo Ius Sanguinis, le comunità del futuro dovrebbero fondarsi sullo Ius Voluntatis, una libera scelta di appartenenza in un contesto in cui il patto sociale è basato sulla volontà di farne parte e di riconoscersi a vicenda con differenze di pari dignità, indipendentemente dalla propria cultura, etnia o religione.(...) Solo una imponente opera di educazione alla diversità e alla cittadinanza, la de-strutturazione dell’approccio basato sul nazionalismo escludente ed identitario e la traduzione concreta di alcune strategie politiche e culturali che muovono verso l’apertura ed il rispetto possono portare alla creazione di nuovi modi di pensare alle nostre comunità e di guardare alle migrazioni non come una minaccia, ma come un’enorme possibilità umana. (Continua) Fonti (vedi Sitografia)
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