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MEDIA E MONDO ARABO dalle Torri gemelle alla Primavera araba _____ Marocco Il Marocco tra primavera e inverno (di Massimo Ghirelli) 1. Due anni dopo la fiammata delle Primavere arabe, che ha scottato e in alcuni casi letteralmente incendiato nazioni e regni dell’Islam, dal Maghreb al Mashrek, c’è un paese che sembra aver trovato la segreta ricetta della stabilità. La ricetta, messa a punto in 12 anni di potere dall’oggi 47enne Re Mohammed VI, si è rivelata finora l’unica in grado di evitare sconvolgimenti al Marocco. Il primo, fondamentale ingrediente di quella ricetta, è la tradizione reale. A differenza di Ben Alì, Mubarak o di altri dittatori e sovrani, Re Mohammed può contare su un lignaggio di tre secoli. E’ considerato il collante dell’unità della Nazione e il garante di una forte identità plurale, il che gli garantisce sufficienti poteri e consensi, tanto da permettergli di introdurre progressivamente una serie di riforme: rese possibili non solo da una spiccata leadership, ma anche dal confronto con le opposizioni e con molte delle forze democratiche del paese. Dalla grazia per molti prigionieri politici, con un gesto di pacificazione altamente simbolico, alla decisione di affidare i servizi di sicurezza a un’autorità civile; dal codice di famiglia (Mudawana) del 2004, che ha garantito maggiori diritti alle donne, alla costituzione di una Commissione per la riconciliazione, incaricata di riconoscere le violazione dei diritti umani commesse dagli apparati di sicurezza e risarcire i cittadini. Nel paese, il pluripartitismo è una realtà consolidata: esiste un gioco politico, naturalmente perfettibile, in cui comunque le differenze si esprimono, e la libertà d’espressione e manifestazione viene assunta e garantita. La stampa è molto più libera che in passato, e nelle elezioni truffe o brogli sono decisamente inferiori a quelle degli altri Paesi arabi e del Maghreb. Dal punto di vista religioso, il Re ha seguito una politica di repressione delle spinte più radicali ed intransigenti – con il monitoraggio costante delle moschee e la prevenzione del terrorismo – bilanciata dal contemporaneo sostegno alle correnti più moderate dell’Islam. Il Marocco, inoltre, si è impegnato, da più di un decennio, in un vasto cantiere di grandi trasformazioni, di sviluppo economico sostenuto e di progresso sociale significativo. l’Iniziativa Nazionale per lo Sviluppo Umano ha realizzato 22mila progetti di cui hanno beneficiato 5 milioni di persone attraverso l’accesso alle infrastrutture di base, le attrezzature collettive, l’animazione dei quartieri, la formazione professionale e attività che generano reddito e lavoro. La più incompiuta delle riforme volute da re Mohammed è forse quella sociale; complice anche la crisi economica a livello mondiale, che ha impedito la realizzazione di quanto previsto. La promessa avanzata nel 2005 di dimezzare la povertà in cinque anni si rivela oggi in larga parte irrealizzata; e altre sfide importanti devono ancora essere affrontate, in particolare nel settore dell’educazione, della giustizia, della salute e della lotta alla corruzione. 2. Se è vero che gli Stati arabi possegono ognuno le proprie peculiarità, è vero anche che sono attraversati da aspirazioni analoghe e affrontano sfide simili. Tutti sono caratterizzati da una popolazione estremamente giovane, la cui metà ha meno di 25 anni, un tasso di disoccupazione elevato, anche tra i laureati, forte disuguaglianze sociali, un sentimento diffuso di ingiustizia e di esclusione e, infine, dei problemi di buon gooverno, trasparenza e corruzione. Gran parte della ricchezza del paese è concentrata nelle mani della famiglia reale e di ristrette élite politiche ed economiche. Il fatto che, malgrado questo quadro poco confortante, la monarchia goda di una buona immagine in Occidente – e anche presso la maggioranza dei suoi sudditi – è uno degli aspetti non secondari di quello che è stato definito il “paradosso” marocchino. E’ opinione di diversi analisti che la longevità politica della monarchia marocchina sia dovuta alla sua capacità di contenere il malcontento attraverso la gestione pluriennale di un superficiale processo di riforma “dall’alto”, di cui la casa reale controlla saldamente orientamenti ed esiti. 3. Nato nel 2011, nei giorni della protesta sull'onda dei fatti tunisini ed egiziani, Il Movimento 20 febbraio, (data della prima manifestazione in Marocco), parte dalle contraddizioni del “paradosso” marocchino e dalle mancate promesse del processo di riforma sponsorizzato dal Re – in altre parole, da ragioni non dissimili da quelle che hanno originato manifestazioni e sollevazioni popolari in altri paesi arabi. Il Movimento riunisce un variegato insieme di sindacati, organizzazioni per i diritti umani, associazioni studentesche, gruppi berberi e islamici, che a prescindere dalle proprie divergenze ideologiche hanno dato vita a una protesta che è riuscita a mobilitare decine di migliaia di manifestanti, sia nelle città che nelle campagne. Chiede la fine della corruzione dilagante, una riduzione drastica del regime monarchico, più democrazia, la riscrittura della costituzione e più giustizia sociale. Le manifestazioni, quasi mai degenerate, hanno visto quasi sempre reazioni abbastanza soft delle forze di sicurezza, che a parte qualche bastonatura e alcuni arresti, si sono limitate a confinarle in spazi e giorni determinati (la protesta della domenica). Tuttavia, la pressione di queste proteste – insieme con gli impressionanti esiti delle rivolte in Tunisia ed egitto – convince il Re che è il momento di dare inizio a un nuovo processo di riforme, sempre “controllate dall’alto”. Pochissimi giorni dopo le prime manifestazioni, il 9 marzo, Mohammed VI annuncia l’avvìo di una vasta riforma costituzionale, decidendo di disinnescare la "primavera araba" che ha investito anche il Marocco con una articolata strategia di iniziative istituzionali e politiche: una nuova Costituzione, un referendum per approvarla, e nuove elezioni politiche. Nell’arco di tre mesi, il 17 giugno 2011, il sovrano presenta la nuova Carta, che dovrà appunto essere approvata con un referendum popolare previsto entro pochissimi giorni, il 1° luglio. La nuova Costituzione non piace a tutti: il Movimento del 20 febbraio sventola la bandiera del boicottaggio, dato che a loro avviso il re potrà pur sempre avere prerogative politiche e religiose secondo la sua volontà e quindi non ci saranno cambiamenti di nessun tipo. Altri tre partiti di sinistra, il Partito Socialista Unito, il Partito di Avanguardia democratica e socialista e Via democratica, e il partito islamista, al Adl wal Ihsan, invitano anch’essi ad abrogare la nuova Carta o a disertare le urne. 4. Ma il Marocco in questi anni ha voglia di stabilità; la crescita economica è continua, e il processo di democratizzazione va incontro alle esigenze di una società in cammino. Come largamente previsto, la nuova Costituzione viene approvata a stragrande maggioranza (98,5% di "sì") dal referendum del 1° luglio. L'attenzione era tutta sul tasso di partecipazione, e l'affluenza al 72,6 per cento degli aventi diritto è un successo per la corona (1). Gli appelli al boicottaggio di una parte del movimento sono andati - per lo più - inascoltati. Il risultato del voto che si e' svolto sotto la sorveglianza di 136 osservatori della società civile marocchina, e la supervisione del Consiglio nazionale dei diritti umani, e' stato apprezzato dall'Unione Europea. L'Alto rappresentante per la politica estera europea, Catherine Ashton, e il commissario all'allargamento Stefan Fuele, in una nota congiunta, hanno ribadito come "le riforme costituiscano una risposta significativa alle legittime aspirazioni del popolo marocchino, e siano coerenti con lo status avanzato dal Marocco con l'Ue". La nuova Costituzione introduce senza dubbio dei principi importanti, a partire dall’enfasi posta sulle diverse componenti dell’identità marocchina: araba, islamica, berbera e sahariana, con influssi africani, andalusi, ebraici e mediterranei. La Costituzione riconosce la lingua tamazight (ovvero berbera) come lingua ufficiale accanto all’arabo. Il testo costituzionale sottolinea poi i principi di “partecipazione, pluralismo e buon governo”, definisce il Marocco “una monarchia costituzionale, democratica, parlamentare e sociale”, e stabilisce che la sua organizzazione territoriale è basata sulla “decentralizzazione e regionalizzazione”. Si tratta di principi fondamentali che contribuiscono ad alimentare il mito dell’ “eccezionalismo” marocchino nel panorama di un mondo arabo dominato da dittature più o meno brutali. Tuttavia, l’illusione di una “monarchia costituzionale”, chiesta a gran voce dal movimento democratico marocchino, sbiadisce non appena si prendono in esame le prerogative che la nuova Costituzione attribuisce al re. L’autorità del sovrano rimane indiscussa e incondizionata; la concentrazione di poteri nelle sue mani fa sì che si rimanga ben lontani da un modello di “monarchia costituzionale”.
Nota(1) Sono 3,8 milioni i marocchini residenti all'estero che si possono esprimere, e di questi circa 350mila sono in Italia.E' anche questa una novità di questa consultazione: un riconoscimento della numerosa comunità marocchina all'estero, a cui la stessa costituzione dedica tre articoli. Per la prima volta gli emigrati vengono chiamati a partecipare e decidere il futuro del proprio paese. 5. E’ evidente che la nuova Costituzione rientra pienamente nella logica delle “costituzioni concesse”, Inserendosi nel tradizionale processo di riforma originato e diretto dal Palazzo, che di fatto apporta cambiamenti limitati a livello sociale e dei diritti politici e civili. Secondo alcuni, tuttavia, tale processo ha il merito di avviare il Marocco lungo un percorso istituzionale che, per quanto fallato e inconcludente, dovrebbe essere in grado di allontanare il paese dal baratro della violenza in cui sono precipitate altre nazioni arabe. Secondo altri, il processo avviato è certamente appoggiato dalle élite liberali e istruite, ma non dà risposte alle masse diseredate del paese. In altre parole, si tratterebbe di un’operazione di “maquillage” che non cura i mali profondi del paese, gli enormi squilibri sociali, la perdurante povertà di estese fasce della popolazione. L’accademico americano Paul Silverstein ha inoltre osservato che il popolo marocchino è solo uno dei numerosi destinatari di questa operazione : in molti punti il nuovo testo costituzionale esprime – più che un modello di governo – un “manifesto”, una dichiarazione di intenti ad uso della comunità diplomatica e affaristica internazionale. La promessa di rispettare i criteri della democrazia, delle libertà civili e del buon governo è necessaria per assicurarsi i fondi degli organismi finanziari internazionali. L’enfasi sul rispetto delle regole di mercato, e allo stesso tempo garanzie di stabilità e sicurezza, sembra intesa a rispondere ai requisiti richiesti dal capitalismo globale. Il processo di “maquillage” avviato dal re è poi necessario per rendere il Marocco nuovamente appetibile per il turismo internazionale, che costituisce la principale entrata del paese. Infine l’enfasi sulla sicurezza, con riferimento anche a possibili minacce terroristiche, può certamente servire a tranquillizzare i governi e gli investitori occidentali ed arabi. Fa riflettere il fatto che – di fronte alla probabilità di una deflagrazione di proteste sul modello tunisino – le agenzie di rating, quali Moody's o Standard&Poor, non abbiano declassato l'affidabilità dei conti pubblici marocchini. Segno che il regno di Mohammad VI non é visto a rischio “contagio”, date le peculiarità politiche ed economiche del paese, profondamente differenti da quelle degli altri Paesi nordafricani. 6. Le elezioni parlamentari in programma il 25 novembre 2011, soltanto nove mesi dopo le prime manifestazioni di protesta, hanno premiato – come in altri Paesi arabi - gli islamici moderati del Partito di Giustizia e Sviluppo (PJD) . Dopo un anno di governo, gli islamici sono lontani dal mantenere le promesse fatte all’elettorato. Il partito del premier Benkirane aveva promesso una crescita del 7 per cento per il 2012, che invece è stata del 3 per cento. E sono invece emersi alcuni segni molto preoccupanti, che fanno pensare che la società marocchina stia prendendo una deriva conservatrice e retrograda. Dopo l’arrivo del PJD al governo, sono diverse le manifestazioni, dirette o indirette, di questo “revival” reazionario che comincia ad inquietare seriamente: la nomina di un’unica donna nell’equipe ministeriale di Benkirane, ovviamente velata; la proliferazione del discorso religioso nei mezzi di comunicazione; la costituzione della prima banca islamica; la repressione dei movimenti protestatari, con alcune pesanti condanne; le ricorrenti censure alla stampa; il moralismo di alcune “manifestazioni spontanee”, per esempio contro la consumazione di alcol; la pressione per l’accettazione del velo in alcune funzione “visibili”, dalla televisione alle compagnie aeree o agli sportelli bancari; le ambiguità sulla violenza alle donne, o sulla necessità di prevedere interruzioni di gravidanza esclusivamente in caso di stupro o di relazioni incestuose forzate. Il prezzo per aver integrato l'islam politico nel gioco istituzionale potrebbe rivelarsi troppo alto; pur ricordando che il pericolo islamico, come si usa definirlo, è motivato anche dall'assenza di spazi di partecipazione e di libera espressione. 8. Il panorama politico, sociale ed economico marocchino presentato mette in evidenza tendenze estremamente interessanti. Da una parte i principali indicatori statistici indicano un livello di importanti diseguaglianze nella distribuzione del reddito, diffusa corruzione e povertà, e descrivono il tessuto sociale marocchino come terreno fertile per la diffusione di rivolte popolari. Allo stesso tempo, tuttavia, la figura del monarca, leader politico e soprattutto religioso, rappresenta un’eccezione decisiva nella regione, riuscendo a rappresentare un forte elemento di coesione sociale. Molti analisti sono convinti che il sistema marocchino sia più forte di quello degli altri stati della regione, e che abbia avuto in questi anni uno sviluppo economico, che ha interrotto l'aumento del livello di povertà della popolazione. Facendo leva sugli importanti aiuti economici provenienti da Stati Uniti ed Europa, il Regno marocchino potrebbe avviare un processo ancora più profondo, in direzione di una completa democratizzazione istituzionale: tuttavia, fino ad oggi, sia Mohammed VI, sia l’Occidente – come purtroppo prevedibile – si sono mostrati più interessati ad una riforma economica in senso neo-liberale del Paese, che all’avvio di una efficace lotta alla corruzione. Infine, il vero test per le riforme del Marocco, sarà se i Marocchini potranno esprimersi senza paura e partecipare alle decisioni che li riguardano; e se potranno contare su autorità giudiziarie indipendenti; se il monarca ‘illuminato’ aprirà ad un cambiamento reale. |
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